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FESTA 2012
articolo apparso sul quotidiano di
Piacenza LIBERTA' di mercoledì 15 febbraio
Il testo dell'articolo
TRA CALENDASCO E NOTO
SAN CORRADO CONFALONIERI
L'eremita penitente
di Umberto Battini
La figura storica di questo Santo
piacentino passa attraverso la contestualizzazione con il
territorio, non ultima quella che oggi è la Via Francigena.
Difatti il nostro Santo Eremita inizia la sua
avventura spirituale da quel piccolo borgo che è Calendasco:
il castello e l’hospitio-romitorio. Ai nostri giorni abbiamo
proprio qui sul Po, il passo francigeno detto “di Sigerico”.
Il romitorio già verso il 1280 era retto da frà Aristide,
maestro spirituale di s. Corrado e superiore del piccolo
ospedale, proprio frà Aristide nel 1290 andò a Montefalco
per presiedere alla costruzione del convento di s. Chiara e
poi tornò a reggere la sua Comunità piacentina di fraticelli
della penitenza o del terz’ordine francescano. Nel 1315
circa vi è l’incendio devastante causato dal Confalonieri
durante la caccia, e se fino a qualche anno fa la
storiografia lo indicava essere nei pressi di Celleri,
basandosi solo su una tradizione, ora abbiamo il sostegno di
una pergamena che ribalta e corrobora la storia. L’abbiamo
rintracciata in Archivio di Stato a Parma nel fondo del
monastero di Quartazzola, è una pergamena in scrittura
corsiva latina datata 11 gennaio 1589. Questa investitura di
un fondo terriero di 200 pertiche piacentine (circa 45 campi
da calcio) ci dice che le terre in direzione di S. Nicolò a
Trebbia e che coinvolgono anche il territorio di Calendasco
sono chiamate “alla Brugiata”. Questo grande spazio rurale
fatto di campi coltivabili, boschi
e viti con ragione possiamo intenderlo come la prova
che lì un tempo vi fu un grande incendio, indicato appunto
dalla toponomastica che chiama tutto quell’appezzamento
“Bruciata” nonostante fosse stato terreno fertile e coltivo.
D’altra parte anche le “case bruciate” di Celleri sono una
indicazione toponomastica così come il “molino bruciato” di
Calendasco. Gli Statuti piacentini più antichi, quelli del
feroce Galeazzo Visconti (1322 – 1336) prevedevano per
l’incendio doloso varie pene a seconda della gravità ed
entità dello stesso, ma il reo poteva pagare il danno al
Comune con una grande somma pari a 200 lire oppure era
libero – tra virgolette - di fare una volontaria cessione di
tutti i beni. Senza addentrarci nella questione, possiamo
credere fosse appunto questa la pena dovuta per l’incendio
del nostro santo come già la storia secolare tramanda e
ancor più quella del XV e XVI secolo scritta nella lontana
Noto. Lo sviluppo del culto al Santo Penitente ha una svolta
in Piacenza nel 1611, quando giunge la lettera del 1610
scritta dai Giurati da Noto, bellissima città sicula nella
quale da ormai sette secoli si conserva con somma
venerazione il corpo del Confalonieri. Nella lettera si
chiede di far ricerche negli archivi piacentini per scoprire
quello che il santo frate “habbia molto più occultato per
humiltà di quello che s’é investigato”. La risposta è in
parte nella lettera spedita da Piacenza nel 1611 che vede
gli Anziani e Priori comunicare quanto avevan potuto sapere.
Allegano alla missiva una “Informatione circa l’Illustre
Famiglia Confaloniera” dalla quale leggiamo testualmente che
nel Monastero francescano di S. Chiara, ancor oggi visibile
sullo Stradone Farnese, tra le tante cose avevan “trovato
notitia di una suor Gioannina Confalloniera che specialmente
viveva nel 1340
et anco nel 1356” e che poteva essere la moglie del Santo
Corrado al tempo della sua vita piacentina. Come detto, in
questi primi decenni del 1600 assistiamo a Piacenza un
rincorrersi di espressione di devozione e di propaganda del
culto molto significativa a s. Corrado Confalonieri. In
Cattedrale gli si erige una cappella dipinta ed ornata con
altare e tutto per volontà di Gian Luigi Confalonieri,
affrescata nel 1613 dal Galeani pittore di Lodi, queste
belle quattro vele sono ancor oggi visibili e recentemente
restaurate. Rappresentano scene basilari della Vita del
Santo Eremita. Qualche anno dopo vi venne collocata una
bella tela del Lanfranco, che nel periodo napoleonico fu
trafugata ed ora è esposta nel museo di Lione in Francia.
Anche il canonico del duomo Pier Maria Campi scrisse una
Vita del Santo Corrado per assolvere alle richieste dei
netini che desideravano maggiori notizie e fu pubblicata nel
1614 a Piacenza. Cosa ancor più notabile, il vescovo mons.
Claudio Rangoni che era stato investito anch’egli dagli
Anziani di Noto di far ricerche sul santo piacentino,
suggella le ricerche storiche andando a validare di proprio
pugno il Legato Sancti Conradi. Redatto nel Palazzo
Episcopale dal Cancelliere e Notaio della curia il 9 agosto
1617, vede la volontà del Conte Zanardi Landi di erigere una
cappella ed altare al Santo piacentino nella chiesa di
Calendasco. A fondamento dell’atto giuridico che ha valore
pubblico con proprie forme solenni, secondo le regole ferree
della diplomatica, vi si afferma che i Confalonieri erano
abitatori e feudatari di Calendasco; che il culto era già
esistente e che andava rinvigorito proprio nel borgo citato
e, si badi bene, cosa importantissima per la storiografia è
che si afferma che il santo Corrado è nato fisicamente in
Calendasco “in eodem loco”. Dal punto di vista storico
questa è una notizia eccezionale perché và a chiudere
tessere mancanti e apre ancor più a nuovi stimoli di
ricerca. Il famoso Legato in scrittura latina, dopo aver
illustrato clausole e somme circa il culto e la santa messa
in onore al Santo, si conclude con la firma dei testimoni e
del vescovo che “per tutti e per ognuno, e dopo aver
osservate le debite formalità della legge, dalla pienezza
della sua autorità Episcopale, interpose e interpone e
parimenti decreta.”. E proprio Calendasco – unico caso in
tutta la diocesi piacentina – lo avrà quale Patrono da quei
giorni andando anche ad abbellire la cappella del Santo con
la stupenda pala che lo raffigura ormai vecchio
penitente con sullo sfondo il ricordo dell’incendio frutto
della sua conversione e cambiamento di vita. Purtroppo gli
affreschi esistenti su alcune pareti laterali della chiesa,
con scene della Vita Conradi vennero coperti da una pittura
omogenea nel 1971 durante i grandi lavori di adeguamento
dello spazio liturgico secondo i canoni prospettati dal
Concilio Vaticano II voluti dallo storico arciprete del
borgo nonché Canonico di S. Antonino don Federico Peratici.
Oggi si ammirano di quegli anni gli affreschi del piacentino
Ricchetti e in particolare il suo possente san Corrado sotto
la croce posto nell’abside tra santi piacentini. La
Tradizione ce lo fa conoscere come San Corrado da Piacenza,
e questo giustamente perché la Casata Confalonieri possedeva
anche in città in zona S. Eufemia un palazzo ed in
Cattedrale si eresse la bella cappella con altare oggi
demoliti, e per di più la città è indicativa di un’area
facilmente individuabile da qualsiasi devoto in Italia.
Resta però il dato storico: la nascita fisica del Santo nel
piccolo feudo e borgo di Calendasco, un dato che perlomeno
non va ignorato ma anzi dovrebbe essere con serietà
riconosciuto. Ma c’è pure un altro aspetto da porre sotto
attenzione e che poco si è valorizzato, riguarda gli
accadimenti propri del 1300 e che ebbero anche una
ripercussione su coloro i quali vivevano da laici convertiti
e penitenti come il nostro Corrado. Il papa Giovanni XXII
nel 1318 con una bolla aveva scomunicato i frati dissidenti
detti volgarmente “spirituali” facilmente confondibili per
tipologia d’abito con i fratres de la penitentia
francescani. Già nel 1312 un folto gruppo di questi era
fuggito, con altri del nord Italia, in Sicilia terra poi
d’elezione del nostro eremita. Se Corrado nel 1315 vive la
famigerata causa dell’incendio, da una parte lo vediamo
essere sotto il martello e l’incudine, perché egli è guelfo
e quindi schierato con la Chiesa diversamente dal Galeazzo
Visconti ghibellino, però allo stesso tempo veste l’abito
bigio penitenziale terziario confuso con quello degli
“eretici” che, lo sappiamo dal frate Aristide, seguiva la
Regola del 1289 per i laici religiosi, la famosissima Supra
Montem di papa Niccolò IV. Nel contempo la confusione era
estrema: anche i Poveri Eremiti del frate Clareno furono
sciolti ed il pasticcio tra Beghini e Spirituali era
talmente esteso che con una altra bolla del 1319 lo stesso
papa Giovanni XXII dovette difendere e proteggere
ufficialmente i Penitenti e Terziari francescani dicendo che
non andavano confusi con i ribelli. Ed anche la cosiddetta
faccenda Templare coinvolge gli anni corradiani;
l’istruttoria contro i frati Templari si aprì nel 1307 e si
concluse nel 1312. Come sappiamo i templari di Piacenza
furono tutti assolti dall’accusa di eresia nel 1310 ed anzi
già nel 1304, al primo sentore di cattive notizie a loro
riguardo, avevano donato i loro beni ai domenicani
piacentini. Era questo il clima politico-sociale e religioso
che vigeva quando san Corrado ebbe il suo incontro con
quelli che la Vita Conradi più antica, il manoscritto netino
del XIV secolo, diceva esser stati poviri et servituri di
Deu. Altra questione sul fuoco – termine adatto per una
santo “incendiario” - è quella dell’iter della sua
beatificazione e poi santificazione. A Noto, e per fortuna
proprio là, diremmo oggi rileggendo i fatti e la storia, in
quella lontana città ove visse da eremita nella grotta dei
Pizzoni, alla sua morte avvenuta nella tarda mattinata del
19 febbraio 1351, immediatamente ne furono riconosciute le
virtù di santità; già da vivo infatti Corrado compì tanti e
copiosi miracoli: primo resta quello del pane che caldo
portava fuori dalla grotta ai tanti miseri e visitatori. Non
avevan certo bisogno di tante altre prove i cittadini di
Noto per riconoscere in lui un sant’uomo, l’avevano
sperimentato da vivo e ne portavano memoria e rispetto
estremi. Tralasciamo qui di approfondire ulteriori fatti
venuti da Noto e atteniamoci alla sua patria piacentina. Nei
secoli successivi, durante l’iter diciamo “romano” della
causa, un aspetto che la storiografia corradiana non prende
in considerazione e che mettiamo sul piatto, è strettamente
connesso ai suoi discendenti di Piacenza e Calendasco nel
particolare. Infatti nel 1547 il duca Pierluigi Farnese fu
assassinato a Piacenza e tra i Nobili cospiratori è anche
Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco. Il Duca
sappiamo che era figlio di papa Paolo III e la famiglia
Farnese una delle più in vista a Roma. Dopo varie vicende si
arrivò alla confisca dei beni dei congiurati e tra questi
quelli appartenuti appunto anche al Confalonieri assassino,
tutto questo circa quaranta anni dopo il fatto. In Archivio
di Stato di Parma abbiamo consultato gli atti della confisca
e tra i beni che possedeva a Calendasco il feudatario Giovan
Luigi Confalonieri e suoi fratelli, vi è anche una parte di
quello che è l’hospitio posto in “Co’ di Borgo” cioè
all’inizio del paese come è ancora attualmente oggi
visibile. I beni sono acquistati dallo Zanardi Landi e con
quella fortissima somma il congiurato in questione è
costretto al bando da Piacenza e portarsi a Milano. Casi
della storia: Giovan Luigi Confalonieri, colui che circa
cinquant’anni prima uccise il Duca piacentino, nei primi
anni del 1600 fu fatto Capitano di Giustizia a Milano.
Questa sintesi per far comprendere con logica come mai
l’iter di santità del nostro Eremita non potè che
concludersi in pieno seicento; la macchia della Casata dei
Confalonieri d’aver ucciso il figlio di Paolo III si
trascinò certamente per anni, anche come memoria nella
stessa Curia Vaticana. La causa per la santità cominciata a
Noto nel 1485, poi sospesa, vede la conferma del culto nel
1515 per mano di papa Leone X; la conclusione per brevità
possiamo porla con la bolla di papa Urbano VIII che nel 1625
concede al Ministro Generale dei Frati Minori Cappuccini di
celebrare la festa del Santo Corrado in tutto l’Ordine
francescano dell’orbe. Intanto restiamo in attesa del
gemellaggio tra le diocesi di Piacenza e Noto auspicando che
la cosa non si risolva in sola retorica e a beneficio dei
soliti noti ma che possa coinvolgere appieno tutti quei
devoti che in vario modo amano e studiano questa bella
figura di Santo.
umbertobattini@gmail.com
ARTICOLO del 2011
articolo sopra:
quotidiano di Piacenza LIBERTA' di giovedì 17 febbraio 2011
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articolo tratto dal
quotidiano di PIACENZA - LIBERTA' - lunedì 6 settembre 2010
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SAN CORRADO, IL SANTO DEL POPOLO DI NOTO
Da Calendasco in Sicilia per la traslazione dell'Arca
|
di Umberto Battini
E’ qualcosa di straordinario, sia dal
punto di vista sociologico che da quello suo proprio di
evento di fede e di pietà popolare, per noi piacentini in
genere, abituati ad orgogliose ma sintetiche rivendicazioni
di tradizioni religiose: la Traslazione processionale a Noto
dell’Arca di S. Corrado Confalonieri piacentino.Questa è la
XXII Traslazione, che si ripete ogni dieci anni o solo per
eventi particolarissimi, consiste nel trasporto dell’Arca
con le sante spoglie del Santo Piacentino dalla Cattedrale
alla grotta originale oggi inglobata nel Santuario posto a
circa 10 chilometri da Noto, nella Valle dei Pizzoni.
Quest’anno, dato
l’evento inconsueto, sono stato ufficialmente eletto dal mio
arciprete di Calendasco don Silvio Cavalli a rappresentare
la comunità parrocchiale dei devoti: porterò con me una
lettera d’augurio del parroco assieme ad alcuni fogli di
firme dei devoti raccolte in chiesa dopo le s. messe da
consegnare al vescovo di Noto mons. Antonio Staglianò. Essa
è un
primo segno importante di unione
spirituale tra Calendasco e la città sicula ed anche della
terra piacentina tutta, infatti tra le due Curie si sta
seriamente lavorando perché sotto l’esempio del Santo
Eremita si possa arrivare ad un gemellaggio. Il mio arrivo a
Noto in mattinata è alla vigilia della grande processione,
infatti la domenica 8 agosto alle ore 2 del mattino ci sarà
la s. messa cui seguirà immediata – durando ben sei ore – la
Traslazione.
Dopo aver ritrovato le suore di clausura
ove sarò ospite ed aver rincontrato alcuni sacerdoti tra i
quali don Ottavio Ruta e mons. Salvatore Guastella– insigne
storico e da anni ottimo amico di noi devoti calendaschesi –
tento senza riuscirvi di riposare qualche ora, conscio che
per decine d’ore non ci sarei più riuscito.
Alle 20 della sera sono già davanti alla
Cattedrale, seduto comodamente su questa immensa e maestosa
scalinata. C’è in giro buon numero di popolo e turisti,
intanto gli amici Portatori dei Cilii, dei quali dall’anno
passato con orgoglio sono socio onorario, mi informano che
l’adunata è per l’una del mattino alla sede posta sul fianco
della Cattedrale (dall’altro lato c’è quella dei Portatori
dell’Arca).
La messa è nel
pieno della notte e subito dopo alle 3 della mattina inizia
la Traslazione: ci sono decine di donne a piedi nudi e
rivestite di un simbolico saio, è il “viaggio scauzo” per
voto e grazia ricevuti. Mi sorprendono
la freschezza di uomini, donne,
anziani e bambini a decine, eppure siamo a notte fonda!
Appena la grandiosa vara con l’Urna esce e varca il portone
della Cattedrale nel continuo richiamo al Santo “E cun tuttu
lu cori ciamamulo, e cun tutta la firi ciamamulo” seguiti da
un unico boato: “Evviva San Currao!”, da accapponare la
pelle, la banda civica – che seguirà fino alla fine la
processione – intona gli Inni al Patrono, scoppiano a 30
metri da noi fuochi artificiali per qualche decina di
minuti. Il popolo osserva attonito, io vivo tutto questo a
un metro dalla vara accanto agli amici portatori di Cilio
che sono belli e schierati come un esercito pacifico avvolti
dai fumi dei fuochi esplosi. I circa duecento portatori
dell’Arca, che si alterneranno nell’immane sforzo, nelle
loro divise bianche brillano in un modo particolarissimo.
Questo serpentone di pellegrini si avvia nella notte calda
salendo lentamente verso la montagna lasciando
definitivamente la città dopo l’ultima sosta del Santo
dinanzi all’ospedale cittadino verso le 4 del
mattino.Davanti alla vara ci sono alcuni sacerdoti a
scandire preghiere e riflessioni trasmesse dai megafoni
portatili, ma è un’impresa impari, sarebbe impensabile
raggiungere questa chilometrica coda di fedeli, ma
ugualmente vige una devozione e un’atmosfera degnamente
spirituale, posso testimoniarlo perché io, preso da una
vivace foga percorro avanti e indietro questo serpentone
e ne registro umori e
sentimenti, è probabile che questa processione l’abbia
percorsa almeno quasi una volta e mezza nelle sei ore di
viaggio. Per una buona ora del cammino discorro e pongo le
basi di una nuova amicizia, con un eremita accorso
all’evento, fratel Alexis, un americano in un bigio saio che
vive nella montagna di Noto. Dopo che la mia curiosità sul
suo stato di eremita è appagata oltre lo sperato in quanto
io non risparmio domande particolari e mirate al suo stato
ed anche perché effettivamente non è per me “da tutti i
giorni” incontrare un eremita ‘canonico’, mi chiede di me,
della mia famiglia e infine discorriamo di cose dello
Spirito, rimane stupito di come io gli parli dei grandi
Padri del deserto (lo stesso san Corrado ha vissuto nel
deserto cioè in solitudine, e negli anni della mia vita era
naturale avvicinarmi al Patrono scoprendo coloro che
dovevano averlo ispirato), gli racconto di San Corrado e di
Calendasco terra ove il Santo nacque e vestì nel romitorio
dei frati penitenti l’abito francescano, anche di dettagli
storici rinvenuti nei documenti in questi tempi ed ancora
inediti. Intanto l’alba comincia a segnare il cielo facendo
intravedere tra quelle colline un leggero nastro rosaceo
all’orizzonte in direzione del mare verso la città ormai
lontana. Arriviamo alla frazione che accoglie tra gli
anfratti di quelle montagne di potente roccia il Santuario:
San Corrado di fuori, alle finestre e ai cancelli delle case
appaiono uomini e donne a porgere il loro devoto saluto al
Patrono amatissimo.
Si arriva alla piccola piazzola ove è la
cosiddetta discesa dei pellegrini cioè una strada pedonale
ben curata, che per circa un chilometro discende ripida alla
Grotta. I Portatori dell’Arca prendono qui un ultimo
respiro: la discesa è ardua non ostante ormai si intraveda
la meta. Nella piazza sottostante ormai gremita
all’inverosimile il Santo Feretro è di nuovo fermato per
l’ultima venerazione pellegrinante: la banda è in posizione
e la musica riempie l’aria della valle intorno, i cilii a
centinaia iniziano il loro “ballo” attorno al Santo! Aver la
pelle d’oca è nulla: si piange tutti assieme, ci si lascia
andare da una tensione spirituale forte, di un popolo di
devoti anch’esso molto forte, è innegabile che San Corrado
sia un Santo del popolo, e che a questo popolo deve aver
concesso ed ancora conceda qualcosa di soprannaturale,
miracoloso e di concreto, altrimenti non posso spiegarmi
questo tripudio rispettoso e solenne di venerazione.
Nel frattempo
medito un proposito: noi devoti di Calendasco, pochi o
molti, con i veri devoti piacentini in genere, abbiamo
l’obbligo di continuare questo ricordo anche nella terra
natia, senza tentennamenti, da Noto ci viene un esempio
eclatante: settecento anni
che è “vivo” tra loro e da
quattrocento a Calendasco nel piacentino, eletto Patrono
cioè rappresentante del popolo presso il Regno Celeste a
intercedere però anche per quello terrestre.Quando poi
l’Arca è deposta finalmente sopra all’altare che è nella
grotta il Santo diventa di tutti e avvicinabile, il pianto
di uomini, donne e anziani è incontrollabile, gli abbracci
ed i baci all’Arca si sprecano,i più malati (d’ogni età) si
siedono accanto al Santo con gli occhi lucidi e assorti in
chi sa quali ricordi e per alcuni minuti si estraniano, e io
osservavo tutto questo nel succedersi dei giorni interi
seguenti, per me quasi una esperienza lacerante tra il corpo
e l’anima, da devoto registravo queste preziose perle
d’amore che sempre i devoti concludevano
con
una silente e prolungata visita
al Santissimo Sacramento posto non molto lontano dalla
grotta, all’altare maggiore del Santuario che addossato alla
roccia ingloba il luogo sacro.
Gli amici
Portatori dei Cilii, come l’anno passato approfittano della
mia presenza piacentina per farmi intervistare da una
televisione sicula che segue dalla notte l’evento, e potremo
assieme
rimarcare alla giornalista che
faceva domande, dell’amicizia che dovrà legare sempre meglio
e di più Piacenza con Noto.
Le ore volano: con la mia divisa da
Portatore trovo grande disponibilità tra la gente, decido di
restare completamente libero perché voglio indugiare tra
essa, parlando ascoltando e fotografando, questa grande
festa della pietà popolare che fino a quel momento non
immaginavo minimamente quale sorprese mi stesse ancora
preparando. Quando poi mi presentavo dicendo di essere di
Calendasco pellegrino al Patrono e inviato dalla mia
parrocchia a rappresentarla, allora vecchi e giovani senza
esagerazione, crollavano in espressioni di benvenuto
incredibili e mi aprivano il loro cuore raccontandomi tutto
quello che la mia curiosità di devoto “cresciuto a pane e S.
Corrado” voleva sapere: così ho conosciuto tantissimi uomini
e donne con i loro racconti di grazie e miracoli ricevuti,
per me una miniera di informazioni che registro avidamente,
meravigliato che tanto amore e riconoscenza per il “mio
compaesano Santo” non sia abbastanza conosciuta nella terra
piacentina. Penso seriamente al fatto se tra il clero locale
si riconosca questa profonda devozione e fede del popolo e
se si prendano sul serio queste testimonianze: la mia
esperienza mi obbliga a poter affermare che tra le circa
5000 persone presenti nella notte processionale non ho visto
nessun tipo di folclore ne tantomeno di superstizione.
Veramente è
consolante sentire nel popolo di Noto (a 1400 chilometri da
noi) questa profonda devozione verso il Grande Piacentino, e
scopro che Calendasco natio borgo del Santo, tutto sommato –
unico caso – deve restare fiero di questi 400 anni di
elezione a Patrono del Confalonieri.Alla vigilia della mia
partenza mons. Guastella mi fa una sorpresa: vengo portato a
Villa Morilla ove si conserva l’Urna vitrea che mostrò il
Corpo del Santo per l’esposizione pubblica del 1990;
arriviamo accolti dalla Signora Rosina, acutissima e amabile
ospite, un tempo direttrice di una grande multinazionale,
che mi mostra in una parte del bel giardino ricco di piante
a me quasi sconosciute e gelsomini in fiore, una Cappella a
San Corrado fatta costruire dal marito (oggi infermo)
appunto per custodirvi l’Urna di vetro e altri oggetti
devozionali corradiani. Mi vengono mostrate inconsuete
fotografie e
sono
anche omaggiato di una medaglia unica e rarissima: coniata
dal marito, il Capitano di Fregata Paolo Morilla, ricorda
del crollo del 13 marzo del 1996 della Cattedrale e della
incolumità di popolo e dello stesso corpo di San Corrado.
Ritorno alla terra piacentina stranito e felice, con uno
slogan insegnatomi dagli anziani che ho incontrato seduti
all’ombra della Cattedrale netina, nei tardi pomeriggi
siculi con il cielo blu all’impensabile e che dice: “Vengu
da Notu e mi chiamo Currao, e campu cun la grazia di Dio!”.
Per tutti i devoti
sparsi nel mondo, centinaia di foto e testi si possono
vedere nel Collegamento Devozionale Ufficiale al sito web
www.araldosancorrado.org
ove è attivo un link apposito sulla Traslazione 2010.
Umberto Battini
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18
febbraio 2009
Vigilia
di San Corrado Confalonieri
foto:
pagina 9 di Libertà
quotidiano di Piacenza
Primo piano
articolo
interamente dedicato al Patrono
di Umberto Battini
riportiamo sotto il testo dell'articolo di Libertà
quotidiano di Piacenza
Domani la Festa - Discendente della nobile famiglia dei
Confalonieri, pellegrino a Roma, in Terra Santa e in Sicilia
dove muore
il 19 febbraio 1351
San Corrado, l'eremita
da Calendasco a Noto
La storia del santo piacentino patrono della città
siciliana
di Umberto Battini
In questi anni a Piacenza
c’è stata una riscoperta molto accalorata della figura del
santo eremita piacentino Corrado Confalonieri. Intorno a
questo illustre personaggio del medioevo si è ampliato un
nuovo filone di ricerca storica, basata principalmente su
inediti documenti che ce ne hanno additato un volto più
storicizzato. Un lavoro certosino, di cesello verrebbe da
dire, silenzioso ma proficuo che è giusto condividere sui due
livelli – con un gioco di parole - cioè quello cultuale e
l’altro culturale. Una figura di religioso significativa: il
nobile cacciatore poi incendiario, il penitente che si fà
pellegrino, il taumaturgo che letteralmente “fa comparire”
pane angelico, come richiamo alla manna del deserto – la sua
vita nel deserto simbolizzato dall’isolamento nella grotta
presso Noto ove muore il 19 febbraio 1351. Sulla origine del
santo dalla nobile casata dei Confalonieri non lascian dubbi
nemmeno gli stessi Giurati della città di Noto, che nella
triplice lettera inviata nel 1610 agli Anziani e Priori di
Piacenza, al Vescovo Conte mons. Rangoni ed al Farnese,
spronandoli di avviar ricerche sul santo piacentino, scrivono:
“si ben fiorì di virtù Eremita et oggi reluce fra beati,
già nel secolo fu cavaliero della famiglia Confaloniera e
segnalatissimo nella patria per aver lasciata in un monasterio
di quella la moglie e distribuito li beni fra quali s’è
fatta coniectura d’alcuni curiosi esserci stato il Castello
Calendasco…”. E la risposta dei Giurati piacentini non
tardò, con la lettera del 14 maggio 1611 inviata a Noto essi
li informarono dell’esito delle ricerche negli archivi
allegando alla stessa una lunga relazione ove si legge che
“il più vecchio della stirpe Confalloniera” ha il
privilegio “d’accompagnare il nuovo Vescovo quando entra
Pontificalmente la prima volta”, ma più clamorosamente
questa relazione rivela che nel monastero di S. Chiara di
Piacenza “per molta diligenza usata da persone autorevoli,
altro non si è trovato che la notizia d’una suora Gioanina
Confalloniera, che specialmente viveva nel 1340 et anco nel
1356. Detta qual suora si dice che, rispetto al tempo, non ci
sarebbe difficoltà che non potesse essere la moglie di Santo
Corrado.”.
Un fatto acclarato è il luogo della nascita fisica di San
Corrado e questa notizia ci viene presentata in forma
ufficiale nel Legato Sancti Conradi del 1617, che il Vescovo
di Piacenza anch’egli spronato dai Giurati netini, “tutte
le predette cose approvò confermò e lodò, e approva
conferma e loda”. E’ un documento redatto nel Palazzo del
Vescovo, alla sua stessa presenza ed è reso pubblico dal
notaio e cancelliere episcopale Giovan Francesco de’ Parma.
Il Legato voluto dallo Zanardi-Landi feudario succeduto ai
Confalonieri, esplicita: “qui quidam S.tus Conradus, ut
perhibetur fuit oriundus de praedecta Civitate ex admodum
Ill.ma famiglia D.D. Confanoneriorum abitatores Dominorum Loci
Calendaschi loci, et Villa Ducatus Placentini ultra trebiam…”
.
Vi è contenuta pure la frase ut in eius vita pubblica tipis
mandata videre est , valida conferma che le indagini sul santo
erano concluse ed avevano portato a poter fare delle
dichiarazioni certe grazie a ciò che si era rintracciato dei
trascorsi civili: le affermazioni sicure che sono punti saldi
che vanno a fortificare la narrazione esposta nel documento,
sono: 1 – San Corrado è un piacentino, 2 – discende dalla
Nobile Famiglia dei Confalonieri, 3 – è nato fisicamente in
Calendasco.
Il Legato contiene questa importantissima affermazione: “qua
quidam devotio es maior promoveri et excitavi debet in
praedicta Ecclesia loci Calendaschi cum ex eodem loco iste
Sanctus, ut praefertur originem terrenam duxerit, sic
verisimiliter incolas eiusdem loci, sui nominis devotos
gratis, et intercessione apud Deum Optimum Maximum
persequunturus…” testualmente “certamente quella
maggiore devozione è da promuovere e deve essere stimolata
nella predetta Chiesa del luogo di Calendasco, il medesimo
luogo dal quale codesto Santo, avendo tratto la sua origine
terrena come si riporta, avrebbe assistito veramente gli
abitanti del medesimo luogo, devoti del suo nome, per le
grazie ed intercessione presso Dio Ottimo Massimo”. Senza
equivoco leggiamo che San Corrado è nato fisicamente a
Calendasco ed il Vescovo di Piacenza, i Testimoni presenti, il
parroco Rettore di Calendasco, il Conte Zanardi Landi e lo
stesso notaio e cancelliere della Curia Episcopale ritengono
quindi fuori di ogni dubbio la autenticità della affermazione
e mai nessuno si contrappose, est probatio probata.
La causa che spinge il nobile Corrado alla conversione è
collegata ad un incendio che provocò durante una battuta di
caccia verso l’anno 1315. Siccome fu incolpato del danno un
innocente contadino, Corrado lo fa liberare ammettendo la
colpa: lui è il colpevole e lui è l’uomo da punire. Una
nuova ipotesi sull’incendio causato dal giovane san Corrado
è emersa dagli archivi, il fatto eccezionale è dato da una
pergamena dell’11 gennaio 1589: è una investitura di un
fondo terriero di 200 pertiche fatta dai monaci di Quartazzola.
La pergamena rinvenuta all’Archivio di Stato di Parma
riporta che le terre sono poste nel territorio di Calendasco,
in direzione di San Nicolò e nel luogo detto “alla
Bruciata.
A diritto questo grande spazio rurale fatto di campi
coltivabili e di bosco può essere ritenuto il luogo
dell’incendio di san Corrado Confalonieri, una ipotesi da
prender sul serio, data dalla ragionevolezza che una così
vasta possessione terriera sia ricordata nel ‘500 con il
nome ‘Bruciata’, sintomo che lì vi fu nei tempi andati un
possente incendio che ancora segnava la toponomastica e la
memoria della gente.
Messer Corrado nasce nel 1290 da una Casata non solo guelfa e
papalina, ma addirittura tanto religiosa da essere quasi fuori
dalla norma, infatti quando Corrado è un arzillo giovanotto
dedito alla cavalleria ed all’hobby della caccia, vanta un
esempio costante di parenti dati alla religione in diversi
conventi di Piacenza.
Dalla sua nascita all’età matura, ad esempio san Corrado
celebra tra i Confalonieri, come risulta dagli atti dei notai
di Piacenza, Agnesina badessa nel 1292 in S. Maria di Galilea,
mentre nel 1296 in S. Maria di Nazareth c’è suor Richelda e
nel 1315, quando Corrado ha la brutta avventura
dell’incendio causa della sua conversione, nel monastero di
S. Siro ci sono Sibillina ed Ermellina, e la Sibillina è
ancora una soror vivente nel 1340, anni della partenza di S.
Corrado dal romitorio di Calendasco. Non di poco conto il
frate minore Pietro Confalonieri, come trovato in pergamene
dal 1324 al 1333, risulta essere il ‘curatore’ delle
terziarie francescane di S. Maria Maddalena, dette volgarmente
“le repentite”. E se è vero che la tomba di famiglia
della Casata è con certezza nel monastero di S. Chiara di
Piacenza, ora scopriamo anche l’attaccamento (ma c’era
bisogno di dirlo?) ai minori, tanto che il testamento di Carlo
Confalonieri del 7 gennaio 1479 esplicita di voler essere
sepolto nella “tomba di famiglia” che è in S. Francesco
in Piazza e dove già riposa il padre Filippo.
Questo breve sunto di nomi e date per dire che S. Corrado non
a caso si rifugia nella religione dopo gli accadimenti, e a
ragion veduta egli non può farsi monaco tot court in quanto
laico sposato ed allora è destinato all’abito francescano
di terziario, fra gli umili penitenti del piccolo hospitale
per romiti di Calendasco. Il superiore frà Aristide figura
viva e concreta come lo stesso Corrado è ricordato essere
stato chiamato a Montefalco dalla stessa santa Chiara per
presiedere alla costruzione del nuovo convento terziario. E’
una prova fortissima del legame dei terziari piacentini e di
Calendasco contenuta anche in una testimonianza storica di
alcuni secoli fa e scritta a centinaia di chilometri dai
nostri luoghi, dal famoso Anonimo di Montefalco.
I penitenti terziari che vivevano nell’hospitio in dicto
loco Calendascho sulla strada diretta al passo del Po erano
assieme ad altri della realtà piacentina molto ben voluti,
tanto che una riunione di questi frati giunti da tutto il nord
Italia si tenne nel 1280 proprio a Piacenza, non dimenticando
che l’abito bigio adottato era detto “piacentino” già
dallo stesso s. Francesco e poi dal papa con la bolla Supra
Montem nel 1289. Se ora Piacenza si giova di nuovi studi
inediti pubblicati in questi anni, un buon testo rimane “S.
Corrado Confalonieri Patrono di Noto” pubblicato nel 1961 da
Giovanni Parisi (che fu Ministro Generale del Terzo Ordine
Francescano). Con argomenti posti su buona base storica,
scopriamo l’indole da pellegrino di s. Corrado, il quale una
volta lasciata la terra piacentina, si dirige verso i luoghi
di Roma, e poi in Terra Santa dove al ritorno, come s. Paolo,
approda a Malta. Su questa isola ancora oggi c’é una bella
chiesetta a lui dedicata che ingloba la grotta ove visse;
bello è ricordare il miracolo della ‘fuga’ da Malta verso
la Sicilia e cioè traversando il mare sopra al proprio
mantello. Infine giunge a Noto e nella Valle dei Pizzoni, in
una grotta, in nascondimento e preghiera, l’eroico
piacentino del miracolo del pane degli angeli, passa il
restante della sua santa vita.
Quattro secoli di
devozione nel Piacentino
A Noto l'Arca d'argento con le sue spoglie
portata a spalla da 50 "portatori"
L’iconografia del santo
piacentino a Piacenza e provincia, segno della tributata
devozione nei secoli, trova una bella espressione in
cattedrale, dove si ammirano gli affreschi con scene della
vita di s. Corrado dipinte dal Galeani nel 1611. Nella chiesa
di S. Pietro tra gli affreschi delle volte troneggia la figura
realizzata dal torinese Morgari nel 1914; così pure a Castel
S. Giovanni in Collegiata troviamo una pala di S. Lucia ove è
posto l’eremita, mentre a Cortemaggiore in sagrestia c’è
una copia del quadro del Lanfranco, che al tempo di Napoleone
fu trafugato ed oggi è nel museo di Lione. Su questo grande
dipinto abbiamo da segnalare il fatto che storici dell’arte,
ad esempio il Bellori nel 1821, descrive la tela del Lanfranco
nel duomo di Piacenza come “San Corrado nell’eremo con un
Angelo che discende verso di lui dal cielo”. Addirittura
viene anche indicato un quadro del santo sempre nel duomo, per
mano di Benedetto Luti (maestro del Panini), ma la cosa più
interessante è che la pala di San Corrado del XVI secolo che
è nell’omonimo altare della parrocchiale di Calendasco,
corrisponde anch’essa alla descrizione più sopra riportata.
Anzi è più ricca a livello iconografico perché mostra sullo
sfondo la scena dell’incendio e della cattura
dell’innocente contadino, mentre il santo medita assorto
nell’eremo con gli attributi classici della sua condizione e
cioè il libro della Parola, il teschio, la corona del rosario
e la ‘penitenza’ (piccola frusta usata dagli anacoreti per
punirsi dei peccati). La tela di Calendasco nonostante oltre
quattro secoli l’abbiano resa scura, si presenta ancora
molto bene all’occhio del devoto e desta sempre una sincera
devozione, probabilmente rimane una fra le migliori
iconografie del santo piacentino, anche a detta dei visitatori
tra i quali nel 2000 il vescovo di Noto e il Ministro Generale
del TOR.
A Noto la festa al Patrono viene celebrata con una solennità
senza pari: l’Arca d’argento attuale del 1485 che contiene
le spoglie del santo, viene portata a spalla da oltre
cinquanta Portatori, mentre a corona sono un centinaio di
Cilii, portati con orgoglio dai devoti.
Nel piacentino il santo eremita è ricordato oltre che in
Calendasco, luogo nel quale vanta un patronato di oltre
quattro secoli, anche dai devoti di Celleri di Carpaneto,
precisamente alla Torre Confalonieri dove in tempi recenti è
sorto un moderno oratorio al santo per un voto fatto durante
la guerra, come riporta una lapide lì esposta. La notizia
della santità di Corrado arriva a Piacenza nel primo 1600,
quando per la Casata non erano certo tempi floridi, infatti
nel paese sul Po dal poderoso castello i Confalonieri
feudatari per quasi due secoli (secondo quello che fino ad
oggi le carte ci mostrano), hanno esercitato la parte più
importante del loro potere di militi. Ad esempio il
Confalonieri che tramò per l’assassinio di Pierluigi
Farnese nel 1547 abitava nel castello di Calendasco come
sappiamo dalle carte d’estimo della confisca e sempre qui il
13 agosto del 1572 Lodovico Confalonieri fu assassinato dalla
moglie, il Farnese fece arrestare tutta la servitù ma lei già
se ne era fuggita vestendo panni di uomo, per essere poi
catturata a Piacenza tra le braccia dell’amante Antonello De
Rossi. Ed ancora un fatto increscioso per la Casata, nel 1564
il nobile Paveri per gelosia freddò con una archibugiata
l’onestissima moglie Ortensia Confalonieri e ne torturò il
corpo con un coltello e pochi anni prima Donna Elena
Castiglione vedova di Pietro Antonio Confalonieri si era data
all’eresia luterana e dovette fuggire da Piacenza perché
ricercata dall’inquisitore.
A Noto la prima festa in onore di s. Corrado si tenne nel 1516
su decreto di mons. Umana e fu celebrata con grandiosa
solennità, in “una marea di popolo furono portate in
processione per le vie della città le sue reliquie”,
addirittura l’eremo con la grotta del santo “attrasse un
gran numero di penitenti, che vestendo il saio eremitico di
san Corrado han dato vita a numerosi romitori nelle vicinanze
della Grotta”.
Calendasco, paese della nascita fisica e spirituale del santo,
gli tributa, unico caso, quattro secoli di devozione mai
interrotta, e negli anni passati la statua di s. Corrado
veniva portata in processione mentre una corona veniva posta
sul capo del santo nel quadro della cappella a lui dedicata in
chiesa.
Oggi di quella statua non abbiamo più traccia e la
processione dal romitorio alla chiesa avviene con la
importante reliquia donata dai Canonici della Cattedrale nel
1961.
Di san Corrado Confalonieri in ogni secolo scrittori di chiara
fama ci hanno lasciato opere pregevoli nel campo della
narrativa biografica, destinate a rendere sempre più viva ed
ammirata nel tempo la sua memoria ed anche la terra
piacentina, di questi tempi non è stata da meno.
U. B.
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