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                   FESTA 2012
                   articolo apparso sul quotidiano di Piacenza LIBERTA' di mercoledì 15 febbraio


                               

                    Il testo dell'articolo

                    TRA CALENDASCO E NOTO
                    SAN CORRADO CONFALONIERI
             L'eremita penitente

            
di Umberto Battini


      

La figura storica di questo Santo piacentino passa attraverso la contestualizzazione con il territorio, non ultima quella che oggi è la Via Francigena.  Difatti il nostro Santo Eremita inizia la sua avventura spirituale da quel piccolo borgo che è Calendasco: il castello e l’hospitio-romitorio. Ai nostri giorni abbiamo proprio qui sul Po, il passo francigeno detto “di Sigerico”. Il romitorio già verso il 1280 era retto da frà Aristide, maestro spirituale di s. Corrado e superiore del piccolo ospedale, proprio frà Aristide nel 1290 andò a Montefalco per presiedere alla costruzione del convento di s. Chiara e poi tornò a reggere la sua Comunità piacentina di fraticelli della penitenza o del terz’ordine francescano. Nel 1315 circa vi è l’incendio devastante causato dal Confalonieri durante la caccia, e se fino a qualche anno fa la storiografia lo indicava essere nei pressi di Celleri, basandosi solo su una tradizione, ora abbiamo il sostegno di una pergamena che ribalta e corrobora la storia. L’abbiamo rintracciata in Archivio di Stato a Parma nel fondo del monastero di Quartazzola, è una pergamena in scrittura corsiva latina datata 11 gennaio 1589. Questa investitura di un fondo terriero di 200 pertiche piacentine (circa 45 campi da calcio) ci dice che le terre in direzione di S. Nicolò a Trebbia e che coinvolgono anche il territorio di Calendasco sono chiamate “alla Brugiata”. Questo grande spazio rurale fatto di campi coltivabili, boschi  e viti con ragione possiamo intenderlo come la prova che lì un tempo vi fu un grande incendio, indicato appunto dalla toponomastica che chiama tutto quell’appezzamento “Bruciata” nonostante fosse stato terreno fertile e coltivo. D’altra parte anche le “case bruciate” di Celleri sono una indicazione toponomastica così come il “molino bruciato” di Calendasco. Gli Statuti piacentini più antichi, quelli del feroce Galeazzo Visconti (1322 – 1336) prevedevano per l’incendio doloso varie pene a seconda della gravità ed entità dello stesso, ma il reo poteva pagare il danno al Comune con una grande somma pari a 200 lire oppure era libero – tra virgolette - di fare una volontaria cessione di tutti i beni. Senza addentrarci nella questione, possiamo credere fosse appunto questa la pena dovuta per l’incendio del nostro santo come già la storia secolare tramanda e ancor più quella del XV e XVI secolo scritta nella lontana Noto. Lo sviluppo del culto al Santo Penitente ha una svolta in Piacenza nel 1611, quando giunge la lettera del 1610 scritta dai Giurati da Noto, bellissima città sicula nella quale da ormai sette secoli si conserva con somma venerazione il corpo del Confalonieri. Nella lettera si chiede di far ricerche negli archivi piacentini per scoprire quello che il santo frate “habbia molto più occultato per humiltà di quello che s’é investigato”. La risposta è in parte nella lettera spedita da Piacenza nel 1611 che vede gli Anziani e Priori comunicare quanto avevan potuto sapere. Allegano alla missiva una “Informatione circa l’Illustre Famiglia Confaloniera” dalla quale leggiamo testualmente che nel Monastero francescano di S. Chiara, ancor oggi visibile sullo Stradone Farnese, tra le tante cose avevan “trovato notitia di una suor Gioannina Confalloniera che specialmente viveva  nel 1340 et anco nel 1356” e che poteva essere la moglie del Santo Corrado al tempo della sua vita piacentina. Come detto, in questi primi decenni del 1600 assistiamo a Piacenza un rincorrersi di espressione di devozione e di propaganda del culto molto significativa a s. Corrado Confalonieri. In Cattedrale gli si erige una cappella dipinta ed ornata con altare e tutto per volontà di Gian Luigi Confalonieri, affrescata nel 1613 dal Galeani pittore di Lodi, queste belle quattro vele sono ancor oggi visibili e recentemente restaurate. Rappresentano scene basilari della Vita del Santo Eremita. Qualche anno dopo vi venne collocata una bella tela del Lanfranco, che nel periodo napoleonico fu trafugata ed ora è esposta nel museo di Lione in Francia. Anche il canonico del duomo Pier Maria Campi scrisse una Vita del Santo Corrado per assolvere alle richieste dei netini che desideravano maggiori notizie e fu pubblicata nel 1614 a Piacenza. Cosa ancor più notabile, il vescovo mons. Claudio Rangoni che era stato investito anch’egli dagli Anziani di Noto di far ricerche sul santo piacentino, suggella le ricerche storiche andando a validare di proprio pugno il Legato Sancti Conradi. Redatto nel Palazzo Episcopale dal Cancelliere e Notaio della curia il 9 agosto 1617, vede la volontà del Conte Zanardi Landi di erigere una cappella ed altare al Santo piacentino nella chiesa di Calendasco. A fondamento dell’atto giuridico che ha valore pubblico con proprie forme solenni, secondo le regole ferree della diplomatica, vi si afferma che i Confalonieri erano abitatori e feudatari di Calendasco; che il culto era già esistente e che andava rinvigorito proprio nel borgo citato e, si badi bene, cosa importantissima per la storiografia è che si afferma che il santo Corrado è nato fisicamente in Calendasco “in eodem loco”. Dal punto di vista storico questa è una notizia eccezionale perché và a chiudere tessere mancanti e apre ancor più a nuovi stimoli di ricerca. Il famoso Legato in scrittura latina, dopo aver illustrato clausole e somme circa il culto e la santa messa in onore al Santo, si conclude con la firma dei testimoni e del vescovo che “per tutti e per ognuno, e dopo aver osservate le debite formalità della legge, dalla pienezza della sua autorità Episcopale, interpose e interpone e parimenti decreta.”. E proprio Calendasco – unico caso in tutta la diocesi piacentina – lo avrà quale Patrono da quei giorni andando anche ad abbellire la cappella del Santo con  la stupenda pala che lo raffigura ormai vecchio penitente con sullo sfondo il ricordo dell’incendio frutto della sua conversione e cambiamento di vita. Purtroppo gli affreschi esistenti su alcune pareti laterali della chiesa, con scene della Vita Conradi vennero coperti da una pittura omogenea nel 1971 durante i grandi lavori di adeguamento dello spazio liturgico secondo i canoni prospettati dal Concilio Vaticano II voluti dallo storico arciprete del borgo nonché Canonico di S. Antonino don Federico Peratici. Oggi si ammirano di quegli anni gli affreschi del piacentino Ricchetti e in particolare il suo possente san Corrado sotto la croce posto nell’abside tra santi piacentini. La Tradizione ce lo fa conoscere come San Corrado da Piacenza, e questo giustamente perché la Casata Confalonieri possedeva anche in città in zona S. Eufemia un palazzo ed in Cattedrale si eresse la bella cappella con altare oggi demoliti, e per di più la città è indicativa di un’area facilmente individuabile da qualsiasi devoto in Italia. Resta però il dato storico: la nascita fisica del Santo nel piccolo feudo e borgo di Calendasco, un dato che perlomeno non va ignorato ma anzi dovrebbe essere con serietà riconosciuto. Ma c’è pure un altro aspetto da porre sotto attenzione e che poco si è valorizzato, riguarda gli accadimenti propri del 1300 e che ebbero anche una ripercussione su coloro i quali vivevano da laici convertiti e penitenti come il nostro Corrado. Il papa Giovanni XXII nel 1318 con una bolla aveva scomunicato i frati dissidenti detti volgarmente “spirituali” facilmente confondibili per tipologia d’abito con i fratres de la penitentia francescani. Già nel 1312 un folto gruppo di questi era fuggito, con altri del nord Italia, in Sicilia terra poi d’elezione del nostro eremita. Se Corrado nel 1315 vive la famigerata causa dell’incendio, da una parte lo vediamo essere sotto il martello e l’incudine, perché egli è guelfo e quindi schierato con la Chiesa diversamente dal Galeazzo Visconti ghibellino, però allo stesso tempo veste l’abito bigio penitenziale terziario confuso con quello degli “eretici” che, lo sappiamo dal frate Aristide, seguiva la Regola del 1289 per i laici religiosi, la famosissima Supra Montem di papa Niccolò IV. Nel contempo la confusione era estrema: anche i Poveri Eremiti del frate Clareno furono sciolti ed il pasticcio tra Beghini e Spirituali era talmente esteso che con una altra bolla del 1319 lo stesso papa Giovanni XXII dovette difendere e proteggere ufficialmente i Penitenti e Terziari francescani dicendo che non andavano confusi con i ribelli. Ed anche la cosiddetta faccenda Templare coinvolge gli anni corradiani; l’istruttoria contro i frati Templari si aprì nel 1307 e si concluse nel 1312. Come sappiamo i templari di Piacenza furono tutti assolti dall’accusa di eresia nel 1310 ed anzi già nel 1304, al primo sentore di cattive notizie a loro riguardo, avevano donato i loro beni ai domenicani piacentini. Era questo il clima politico-sociale e religioso che vigeva quando san Corrado ebbe il suo incontro con quelli che la Vita Conradi più antica, il manoscritto netino del XIV secolo, diceva esser stati poviri et servituri di Deu. Altra questione sul fuoco – termine adatto per una santo “incendiario” - è quella dell’iter della sua beatificazione e poi santificazione. A Noto, e per fortuna proprio là, diremmo oggi rileggendo i fatti e la storia, in quella lontana città ove visse da eremita nella grotta dei Pizzoni, alla sua morte avvenuta nella tarda mattinata del 19 febbraio 1351, immediatamente ne furono riconosciute le virtù di santità; già da vivo infatti Corrado compì tanti e copiosi miracoli: primo resta quello del pane che caldo portava fuori dalla grotta ai tanti miseri e visitatori. Non avevan certo bisogno di tante altre prove i cittadini di Noto per riconoscere in lui un sant’uomo, l’avevano sperimentato da vivo e ne portavano memoria e rispetto estremi. Tralasciamo qui di approfondire ulteriori fatti venuti da Noto e atteniamoci alla sua patria piacentina. Nei secoli successivi, durante l’iter diciamo “romano” della causa, un aspetto che la storiografia corradiana non prende in considerazione e che mettiamo sul piatto, è strettamente connesso ai suoi discendenti di Piacenza e Calendasco nel particolare. Infatti nel 1547 il duca Pierluigi Farnese fu assassinato a Piacenza e tra i Nobili cospiratori è anche Giovan Luigi Confalonieri feudatario di Calendasco. Il Duca sappiamo che era figlio di papa Paolo III e la famiglia Farnese una delle più in vista a Roma. Dopo varie vicende si arrivò alla confisca dei beni dei congiurati e tra questi quelli appartenuti appunto anche al Confalonieri assassino, tutto questo circa quaranta anni dopo il fatto. In Archivio di Stato di Parma abbiamo consultato gli atti della confisca e tra i beni che possedeva a Calendasco il feudatario Giovan Luigi Confalonieri e suoi fratelli, vi è anche una parte di quello che è l’hospitio posto in “Co’ di Borgo” cioè all’inizio del paese come è ancora attualmente oggi visibile. I beni sono acquistati dallo Zanardi Landi e con quella fortissima somma il congiurato in questione è costretto al bando da Piacenza e portarsi a Milano. Casi della storia: Giovan Luigi Confalonieri, colui che circa cinquant’anni prima uccise il Duca piacentino, nei primi anni del 1600 fu fatto Capitano di Giustizia a Milano. Questa sintesi per far comprendere con logica come mai l’iter di santità del nostro Eremita non potè che concludersi in pieno seicento; la macchia della Casata dei Confalonieri d’aver ucciso il figlio di Paolo III si trascinò certamente per anni, anche come memoria nella stessa Curia Vaticana. La causa per la santità cominciata a Noto nel 1485, poi sospesa, vede la conferma del culto nel 1515 per mano di papa Leone X; la conclusione per brevità possiamo porla con la bolla di papa Urbano VIII che nel 1625 concede al Ministro Generale dei Frati Minori Cappuccini di celebrare la festa del Santo Corrado in tutto l’Ordine francescano dell’orbe. Intanto restiamo in attesa del gemellaggio tra le diocesi di Piacenza e Noto auspicando che la cosa non si risolva in sola retorica e a beneficio dei soliti noti ma che possa coinvolgere appieno tutti quei devoti che in vario modo amano e studiano questa bella figura di Santo.

                                                              umbertobattini@gmail.com           



                   ARTICOLO del 2011

                 
  
            articolo sopra: quotidiano di Piacenza LIBERTA' di giovedì 17 febbraio 2011
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                       articolo tratto dal quotidiano di PIACENZA - LIBERTA' - lunedì 6 settembre 2010
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              SAN CORRADO, IL SANTO DEL POPOLO DI NOTO 
                     
                                       
Da Calendasco in Sicilia per la traslazione dell'Arca                          
                            
         

di Umberto Battini

E’ qualcosa di straordinario, sia dal punto di vista sociologico che da quello suo proprio di evento di fede e di pietà popolare, per noi piacentini in genere, abituati ad orgogliose ma sintetiche rivendicazioni di tradizioni religiose: la Traslazione processionale a Noto dell’Arca di S. Corrado Confalonieri piacentino.Questa è la XXII Traslazione, che si ripete ogni dieci anni o solo per eventi particolarissimi, consiste nel trasporto dell’Arca con le sante spoglie del Santo Piacentino dalla Cattedrale alla grotta originale oggi inglobata nel Santuario posto a circa 10 chilometri da Noto, nella Valle dei Pizzoni.

Quest’anno, dato l’evento inconsueto, sono stato ufficialmente eletto dal mio arciprete di Calendasco don Silvio Cavalli a rappresentare la comunità parrocchiale dei devoti: porterò con me una lettera d’augurio del parroco assieme ad alcuni fogli di firme dei devoti raccolte in chiesa dopo le s. messe da consegnare al vescovo di Noto mons. Antonio Staglianò. Essa è un  primo segno importante di unione spirituale tra Calendasco e la città sicula ed anche della terra piacentina tutta, infatti tra le due Curie si sta seriamente lavorando perché sotto l’esempio del Santo Eremita si possa arrivare ad un gemellaggio. Il mio arrivo a Noto in mattinata è alla vigilia della grande processione, infatti la domenica 8 agosto alle ore 2 del mattino ci sarà la s. messa cui seguirà immediata – durando ben sei ore – la Traslazione.

Dopo aver ritrovato le suore di clausura ove sarò ospite ed aver rincontrato alcuni sacerdoti tra i quali don Ottavio Ruta e mons. Salvatore Guastella– insigne storico e da anni ottimo amico di noi devoti calendaschesi – tento senza riuscirvi di riposare qualche ora, conscio che per decine d’ore non ci sarei più riuscito.

Alle 20 della sera sono già davanti alla Cattedrale, seduto comodamente su questa immensa e maestosa scalinata. C’è in giro buon numero di popolo e turisti, intanto gli amici Portatori dei Cilii, dei quali dall’anno passato con orgoglio sono socio onorario, mi informano che l’adunata è per l’una del mattino alla sede posta sul fianco della Cattedrale (dall’altro lato c’è quella dei Portatori dell’Arca).

La messa è nel pieno della notte e subito dopo alle 3 della mattina inizia la Traslazione: ci sono decine di donne a piedi nudi e rivestite di un simbolico saio, è il “viaggio scauzo” per voto e grazia ricevuti. Mi sorprendono  la freschezza di uomini, donne, anziani e bambini a decine, eppure siamo a notte fonda! Appena la grandiosa vara con l’Urna esce e varca il portone della Cattedrale nel continuo richiamo al Santo “E cun tuttu lu cori ciamamulo, e cun tutta la firi ciamamulo” seguiti da un unico boato: “Evviva San Currao!”, da accapponare la pelle, la banda civica – che seguirà fino alla fine la processione – intona gli Inni al Patrono, scoppiano a 30 metri da noi fuochi artificiali per qualche decina di minuti. Il popolo osserva attonito, io vivo tutto questo a un metro dalla vara accanto agli amici portatori di Cilio che sono belli e schierati come un esercito pacifico avvolti dai fumi dei fuochi esplosi. I circa duecento portatori dell’Arca, che si alterneranno nell’immane sforzo, nelle loro divise bianche brillano in un modo particolarissimo. Questo serpentone di pellegrini si avvia nella notte calda salendo lentamente verso la montagna lasciando definitivamente la città dopo l’ultima sosta del Santo dinanzi all’ospedale cittadino verso le 4 del mattino.Davanti alla vara ci sono alcuni sacerdoti a scandire preghiere e riflessioni trasmesse dai megafoni portatili, ma è un’impresa impari, sarebbe impensabile raggiungere questa chilometrica coda di fedeli, ma ugualmente vige una devozione e un’atmosfera degnamente spirituale, posso testimoniarlo perché io, preso da una vivace foga percorro avanti e indietro questo serpentone  e ne registro umori e sentimenti, è probabile che questa processione l’abbia percorsa almeno quasi una volta e mezza nelle sei ore di viaggio. Per una buona ora del cammino discorro e pongo le basi di una nuova amicizia, con un eremita accorso all’evento, fratel Alexis, un americano in un bigio saio che vive nella montagna di Noto. Dopo che la mia curiosità sul suo stato di eremita è appagata oltre lo sperato in quanto io non risparmio domande particolari e mirate al suo stato ed anche perché effettivamente non è per me “da tutti i giorni” incontrare un eremita ‘canonico’, mi chiede di me, della mia famiglia e infine discorriamo di cose dello Spirito, rimane stupito di come io gli parli dei grandi Padri del deserto (lo stesso san Corrado ha vissuto nel deserto cioè in solitudine, e negli anni della mia vita era naturale avvicinarmi al Patrono scoprendo coloro che dovevano averlo ispirato), gli racconto di San Corrado e di Calendasco terra ove il Santo nacque e vestì nel romitorio dei frati penitenti l’abito francescano, anche di dettagli storici rinvenuti nei documenti in questi tempi ed ancora inediti. Intanto l’alba comincia a segnare il cielo facendo intravedere tra quelle colline un leggero nastro rosaceo all’orizzonte in direzione del mare verso la città ormai lontana. Arriviamo alla frazione che accoglie tra gli anfratti di quelle montagne di potente roccia il Santuario: San Corrado di fuori, alle finestre e ai cancelli delle case appaiono uomini e donne a porgere il loro devoto saluto al Patrono amatissimo.

Si arriva alla piccola piazzola ove è la cosiddetta discesa dei pellegrini cioè una strada pedonale ben curata, che per circa un chilometro discende ripida alla Grotta. I Portatori dell’Arca prendono qui un ultimo respiro: la discesa è ardua non ostante ormai si intraveda la meta. Nella piazza sottostante ormai gremita all’inverosimile il Santo Feretro è di nuovo fermato per l’ultima venerazione pellegrinante: la banda è in posizione e la musica riempie l’aria della valle intorno, i cilii a centinaia iniziano il loro “ballo” attorno al Santo! Aver la pelle d’oca è nulla: si piange tutti assieme, ci si lascia andare da una tensione spirituale forte, di un popolo di devoti anch’esso molto forte, è innegabile che San Corrado sia un Santo del popolo, e che a questo popolo deve aver concesso ed ancora conceda qualcosa di soprannaturale, miracoloso e di concreto, altrimenti non posso spiegarmi questo tripudio rispettoso e solenne di venerazione.

Nel frattempo medito un proposito: noi devoti di Calendasco, pochi o molti, con i veri devoti piacentini in genere, abbiamo l’obbligo di continuare questo ricordo anche nella terra natia, senza tentennamenti, da Noto ci viene un esempio eclatante: settecento anni  che è “vivo” tra loro e da quattrocento a Calendasco nel piacentino, eletto Patrono cioè rappresentante del popolo presso il Regno Celeste a intercedere però anche per quello terrestre.Quando poi l’Arca è deposta finalmente sopra all’altare che è nella grotta il Santo diventa di tutti e avvicinabile, il pianto di uomini, donne e anziani è incontrollabile, gli abbracci ed i baci all’Arca si sprecano,i più malati (d’ogni età) si siedono accanto al Santo con gli occhi lucidi e assorti in chi sa quali ricordi e per alcuni minuti si estraniano, e io osservavo tutto questo nel succedersi dei giorni interi seguenti, per me quasi una esperienza lacerante tra il corpo e l’anima, da devoto registravo queste preziose perle d’amore che sempre i devoti concludevano  con  una silente e prolungata visita al Santissimo Sacramento posto non molto lontano dalla grotta, all’altare maggiore del Santuario che addossato alla roccia ingloba il luogo sacro.

Gli amici Portatori dei Cilii, come l’anno passato approfittano della mia presenza piacentina per farmi intervistare da una televisione sicula che segue dalla notte l’evento, e potremo assieme  rimarcare alla giornalista che faceva domande, dell’amicizia che dovrà legare sempre meglio e di più Piacenza con Noto.

Le ore volano: con la mia divisa da Portatore trovo grande disponibilità tra la gente, decido di restare completamente libero perché voglio indugiare tra essa, parlando ascoltando e fotografando, questa grande festa della pietà popolare che fino a quel momento non immaginavo minimamente quale sorprese mi stesse ancora preparando. Quando poi mi presentavo dicendo di essere di Calendasco pellegrino al Patrono e inviato dalla mia parrocchia a rappresentarla, allora vecchi e giovani senza esagerazione, crollavano in espressioni di benvenuto incredibili e mi aprivano il loro cuore raccontandomi tutto quello che la mia curiosità di devoto “cresciuto a pane e S. Corrado” voleva sapere: così ho conosciuto tantissimi uomini e donne con i loro racconti di grazie e miracoli ricevuti, per me una miniera di informazioni che registro avidamente, meravigliato che tanto amore e riconoscenza per il “mio compaesano Santo” non sia abbastanza conosciuta nella terra piacentina. Penso seriamente al fatto se tra il clero locale si riconosca questa profonda devozione e fede del popolo e se si prendano sul serio queste testimonianze: la mia esperienza mi obbliga a poter affermare che tra le circa 5000 persone presenti nella notte processionale non ho visto nessun tipo di folclore ne tantomeno di superstizione.

Veramente è consolante sentire nel popolo di Noto (a 1400 chilometri da noi) questa profonda devozione verso il Grande Piacentino, e scopro che Calendasco natio borgo del Santo, tutto sommato – unico caso – deve restare fiero di questi 400 anni di elezione a Patrono del Confalonieri.Alla vigilia della mia partenza mons. Guastella mi fa una sorpresa: vengo portato a Villa Morilla ove si conserva l’Urna vitrea che mostrò il Corpo del Santo per l’esposizione pubblica del 1990; arriviamo accolti dalla Signora Rosina, acutissima e amabile ospite, un tempo direttrice di una grande multinazionale, che mi mostra in una parte del bel giardino ricco di piante a me quasi sconosciute e gelsomini in fiore, una Cappella a San Corrado fatta costruire dal marito (oggi infermo) appunto per custodirvi l’Urna di vetro e altri oggetti devozionali corradiani. Mi vengono mostrate inconsuete  fotografie e  sono anche omaggiato di una medaglia unica e rarissima: coniata dal marito, il Capitano di Fregata Paolo Morilla, ricorda del crollo del 13 marzo del 1996 della Cattedrale e della incolumità di popolo e dello stesso corpo di San Corrado. Ritorno alla terra piacentina stranito e felice, con uno slogan insegnatomi dagli anziani che ho incontrato seduti all’ombra della Cattedrale netina, nei tardi pomeriggi siculi con il cielo blu all’impensabile e che dice: “Vengu da Notu e mi chiamo Currao, e campu cun la grazia di Dio!”.

Per tutti i devoti sparsi nel mondo, centinaia di foto e testi si possono vedere nel Collegamento Devozionale Ufficiale al sito web www.araldosancorrado.org ove è attivo un link apposito sulla Traslazione 2010.

 

Umberto Battini

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18 febbraio 2009
Vigilia di San Corrado Confalonieri

foto: pagina 9 di Libertà quotidiano di Piacenza
Primo piano
articolo interamente dedicato al Patrono
di Umberto Battini

riportiamo sotto il testo dell'articolo di Libertà
quotidiano di Piacenza

Domani la Festa - Discendente della nobile famiglia dei Confalonieri, pellegrino a Roma, in Terra Santa e in Sicilia dove muore
il 19 febbraio 1351



San Corrado, l'eremita
da Calendasco a Noto


La storia del santo piacentino patrono della città siciliana
di Umberto Battini

In questi anni a Piacenza c’è stata una riscoperta molto accalorata della figura del santo eremita piacentino Corrado Confalonieri. Intorno a questo illustre personaggio del medioevo si è ampliato un nuovo filone di ricerca storica, basata principalmente su inediti documenti che ce ne hanno additato un volto più storicizzato. Un lavoro certosino, di cesello verrebbe da dire, silenzioso ma proficuo che è giusto condividere sui due livelli – con un gioco di parole - cioè quello cultuale e l’altro culturale. Una figura di religioso significativa: il nobile cacciatore poi incendiario, il penitente che si fà pellegrino, il taumaturgo che letteralmente “fa comparire” pane angelico, come richiamo alla manna del deserto – la sua vita nel deserto simbolizzato dall’isolamento nella grotta presso Noto ove muore il 19 febbraio 1351. Sulla origine del santo dalla nobile casata dei Confalonieri non lascian dubbi nemmeno gli stessi Giurati della città di Noto, che nella triplice lettera inviata nel 1610 agli Anziani e Priori di Piacenza, al Vescovo Conte mons. Rangoni ed al Farnese, spronandoli di avviar ricerche sul santo piacentino, scrivono: “si ben fiorì di virtù Eremita et oggi reluce fra beati, già nel secolo fu cavaliero della famiglia Confaloniera e segnalatissimo nella patria per aver lasciata in un monasterio di quella la moglie e distribuito li beni fra quali s’è fatta coniectura d’alcuni curiosi esserci stato il Castello Calendasco…”. E la risposta dei Giurati piacentini non tardò, con la lettera del 14 maggio 1611 inviata a Noto essi li informarono dell’esito delle ricerche negli archivi allegando alla stessa una lunga relazione ove si legge che “il più vecchio della stirpe Confalloniera” ha il privilegio “d’accompagnare il nuovo Vescovo quando entra Pontificalmente la prima volta”, ma più clamorosamente questa relazione rivela che nel monastero di S. Chiara di Piacenza “per molta diligenza usata da persone autorevoli, altro non si è trovato che la notizia d’una suora Gioanina Confalloniera, che specialmente viveva nel 1340 et anco nel 1356. Detta qual suora si dice che, rispetto al tempo, non ci sarebbe difficoltà che non potesse essere la moglie di Santo Corrado.”.
Un fatto acclarato è il luogo della nascita fisica di San Corrado e questa notizia ci viene presentata in forma ufficiale nel Legato Sancti Conradi del 1617, che il Vescovo di Piacenza anch’egli spronato dai Giurati netini, “tutte le predette cose approvò confermò e lodò, e approva conferma e loda”. E’ un documento redatto nel Palazzo del Vescovo, alla sua stessa presenza ed è reso pubblico dal notaio e cancelliere episcopale Giovan Francesco de’ Parma. Il Legato voluto dallo Zanardi-Landi feudario succeduto ai Confalonieri, esplicita: “qui quidam S.tus Conradus, ut perhibetur fuit oriundus de praedecta Civitate ex admodum Ill.ma famiglia D.D. Confanoneriorum abitatores Dominorum Loci Calendaschi loci, et Villa Ducatus Placentini ultra trebiam…” .
Vi è contenuta pure la frase ut in eius vita pubblica tipis mandata videre est , valida conferma che le indagini sul santo erano concluse ed avevano portato a poter fare delle dichiarazioni certe grazie a ciò che si era rintracciato dei trascorsi civili: le affermazioni sicure che sono punti saldi che vanno a fortificare la narrazione esposta nel documento, sono: 1 – San Corrado è un piacentino, 2 – discende dalla Nobile Famiglia dei Confalonieri, 3 – è nato fisicamente in Calendasco.
Il Legato contiene questa importantissima affermazione: “qua quidam devotio es maior promoveri et excitavi debet in praedicta Ecclesia loci Calendaschi cum ex eodem loco iste Sanctus, ut praefertur originem terrenam duxerit, sic verisimiliter incolas eiusdem loci, sui nominis devotos gratis, et intercessione apud Deum Optimum Maximum persequunturus…” testualmente “certamente quella maggiore devozione è da promuovere e deve essere stimolata nella predetta Chiesa del luogo di Calendasco, il medesimo luogo dal quale codesto Santo, avendo tratto la sua origine terrena come si riporta, avrebbe assistito veramente gli abitanti del medesimo luogo, devoti del suo nome, per le grazie ed intercessione presso Dio Ottimo Massimo”. Senza equivoco leggiamo che San Corrado è nato fisicamente a Calendasco ed il Vescovo di Piacenza, i Testimoni presenti, il parroco Rettore di Calendasco, il Conte Zanardi Landi e lo stesso notaio e cancelliere della Curia Episcopale ritengono quindi fuori di ogni dubbio la autenticità della affermazione e mai nessuno si contrappose, est probatio probata.
La causa che spinge il nobile Corrado alla conversione è collegata ad un incendio che provocò durante una battuta di caccia verso l’anno 1315. Siccome fu incolpato del danno un innocente contadino, Corrado lo fa liberare ammettendo la colpa: lui è il colpevole e lui è l’uomo da punire. Una nuova ipotesi sull’incendio causato dal giovane san Corrado è emersa dagli archivi, il fatto eccezionale è dato da una pergamena dell’11 gennaio 1589: è una investitura di un fondo terriero di 200 pertiche fatta dai monaci di Quartazzola. La pergamena rinvenuta all’Archivio di Stato di Parma riporta che le terre sono poste nel territorio di Calendasco, in direzione di San Nicolò e nel luogo detto “alla Bruciata.
A diritto questo grande spazio rurale fatto di campi coltivabili e di bosco può essere ritenuto il luogo dell’incendio di san Corrado Confalonieri, una ipotesi da prender sul serio, data dalla ragionevolezza che una così vasta possessione terriera sia ricordata nel ‘500 con il nome ‘Bruciata’, sintomo che lì vi fu nei tempi andati un possente incendio che ancora segnava la toponomastica e la memoria della gente.
Messer Corrado nasce nel 1290 da una Casata non solo guelfa e papalina, ma addirittura tanto religiosa da essere quasi fuori dalla norma, infatti quando Corrado è un arzillo giovanotto dedito alla cavalleria ed all’hobby della caccia, vanta un esempio costante di parenti dati alla religione in diversi conventi di Piacenza.
Dalla sua nascita all’età matura, ad esempio san Corrado celebra tra i Confalonieri, come risulta dagli atti dei notai di Piacenza, Agnesina badessa nel 1292 in S. Maria di Galilea, mentre nel 1296 in S. Maria di Nazareth c’è suor Richelda e nel 1315, quando Corrado ha la brutta avventura dell’incendio causa della sua conversione, nel monastero di S. Siro ci sono Sibillina ed Ermellina, e la Sibillina è ancora una soror vivente nel 1340, anni della partenza di S. Corrado dal romitorio di Calendasco. Non di poco conto il frate minore Pietro Confalonieri, come trovato in pergamene dal 1324 al 1333, risulta essere il ‘curatore’ delle terziarie francescane di S. Maria Maddalena, dette volgarmente “le repentite”. E se è vero che la tomba di famiglia della Casata è con certezza nel monastero di S. Chiara di Piacenza, ora scopriamo anche l’attaccamento (ma c’era bisogno di dirlo?) ai minori, tanto che il testamento di Carlo Confalonieri del 7 gennaio 1479 esplicita di voler essere sepolto nella “tomba di famiglia” che è in S. Francesco in Piazza e dove già riposa il padre Filippo.
Questo breve sunto di nomi e date per dire che S. Corrado non a caso si rifugia nella religione dopo gli accadimenti, e a ragion veduta egli non può farsi monaco tot court in quanto laico sposato ed allora è destinato all’abito francescano di terziario, fra gli umili penitenti del piccolo hospitale per romiti di Calendasco. Il superiore frà Aristide figura viva e concreta come lo stesso Corrado è ricordato essere stato chiamato a Montefalco dalla stessa santa Chiara per presiedere alla costruzione del nuovo convento terziario. E’ una prova fortissima del legame dei terziari piacentini e di Calendasco contenuta anche in una testimonianza storica di alcuni secoli fa e scritta a centinaia di chilometri dai nostri luoghi, dal famoso Anonimo di Montefalco.
I penitenti terziari che vivevano nell’hospitio in dicto loco Calendascho sulla strada diretta al passo del Po erano assieme ad altri della realtà piacentina molto ben voluti, tanto che una riunione di questi frati giunti da tutto il nord Italia si tenne nel 1280 proprio a Piacenza, non dimenticando che l’abito bigio adottato era detto “piacentino” già dallo stesso s. Francesco e poi dal papa con la bolla Supra Montem nel 1289. Se ora Piacenza si giova di nuovi studi inediti pubblicati in questi anni, un buon testo rimane “S. Corrado Confalonieri Patrono di Noto” pubblicato nel 1961 da Giovanni Parisi (che fu Ministro Generale del Terzo Ordine Francescano). Con argomenti posti su buona base storica, scopriamo l’indole da pellegrino di s. Corrado, il quale una volta lasciata la terra piacentina, si dirige verso i luoghi di Roma, e poi in Terra Santa dove al ritorno, come s. Paolo, approda a Malta. Su questa isola ancora oggi c’é una bella chiesetta a lui dedicata che ingloba la grotta ove visse; bello è ricordare il miracolo della ‘fuga’ da Malta verso la Sicilia e cioè traversando il mare sopra al proprio mantello. Infine giunge a Noto e nella Valle dei Pizzoni, in una grotta, in nascondimento e preghiera, l’eroico piacentino del miracolo del pane degli angeli, passa il restante della sua santa vita.
 
 
Quattro secoli di devozione nel Piacentino
A Noto l'Arca d'argento con le sue spoglie
portata a spalla da 50 "portatori"


L’iconografia del santo piacentino a Piacenza e provincia, segno della tributata devozione nei secoli, trova una bella espressione in cattedrale, dove si ammirano gli affreschi con scene della vita di s. Corrado dipinte dal Galeani nel 1611. Nella chiesa di S. Pietro tra gli affreschi delle volte troneggia la figura realizzata dal torinese Morgari nel 1914; così pure a Castel S. Giovanni in Collegiata troviamo una pala di S. Lucia ove è posto l’eremita, mentre a Cortemaggiore in sagrestia c’è una copia del quadro del Lanfranco, che al tempo di Napoleone fu trafugato ed oggi è nel museo di Lione. Su questo grande dipinto abbiamo da segnalare il fatto che storici dell’arte, ad esempio il Bellori nel 1821, descrive la tela del Lanfranco nel duomo di Piacenza come “San Corrado nell’eremo con un Angelo che discende verso di lui dal cielo”. Addirittura viene anche indicato un quadro del santo sempre nel duomo, per mano di Benedetto Luti (maestro del Panini), ma la cosa più interessante è che la pala di San Corrado del XVI secolo che è nell’omonimo altare della parrocchiale di Calendasco, corrisponde anch’essa alla descrizione più sopra riportata. Anzi è più ricca a livello iconografico perché mostra sullo sfondo la scena dell’incendio e della cattura dell’innocente contadino, mentre il santo medita assorto nell’eremo con gli attributi classici della sua condizione e cioè il libro della Parola, il teschio, la corona del rosario e la ‘penitenza’ (piccola frusta usata dagli anacoreti per punirsi dei peccati). La tela di Calendasco nonostante oltre quattro secoli l’abbiano resa scura, si presenta ancora molto bene all’occhio del devoto e desta sempre una sincera devozione, probabilmente rimane una fra le migliori iconografie del santo piacentino, anche a detta dei visitatori tra i quali nel 2000 il vescovo di Noto e il Ministro Generale del TOR.
A Noto la festa al Patrono viene celebrata con una solennità senza pari: l’Arca d’argento attuale del 1485 che contiene le spoglie del santo, viene portata a spalla da oltre cinquanta Portatori, mentre a corona sono un centinaio di Cilii, portati con orgoglio dai devoti.
Nel piacentino il santo eremita è ricordato oltre che in Calendasco, luogo nel quale vanta un patronato di oltre quattro secoli, anche dai devoti di Celleri di Carpaneto, precisamente alla Torre Confalonieri dove in tempi recenti è sorto un moderno oratorio al santo per un voto fatto durante la guerra, come riporta una lapide lì esposta. La notizia della santità di Corrado arriva a Piacenza nel primo 1600, quando per la Casata non erano certo tempi floridi, infatti nel paese sul Po dal poderoso castello i Confalonieri feudatari per quasi due secoli (secondo quello che fino ad oggi le carte ci mostrano), hanno esercitato la parte più importante del loro potere di militi. Ad esempio il Confalonieri che tramò per l’assassinio di Pierluigi Farnese nel 1547 abitava nel castello di Calendasco come sappiamo dalle carte d’estimo della confisca e sempre qui il 13 agosto del 1572 Lodovico Confalonieri fu assassinato dalla moglie, il Farnese fece arrestare tutta la servitù ma lei già se ne era fuggita vestendo panni di uomo, per essere poi catturata a Piacenza tra le braccia dell’amante Antonello De Rossi. Ed ancora un fatto increscioso per la Casata, nel 1564 il nobile Paveri per gelosia freddò con una archibugiata l’onestissima moglie Ortensia Confalonieri e ne torturò il corpo con un coltello e pochi anni prima Donna Elena Castiglione vedova di Pietro Antonio Confalonieri si era data all’eresia luterana e dovette fuggire da Piacenza perché ricercata dall’inquisitore.
A Noto la prima festa in onore di s. Corrado si tenne nel 1516 su decreto di mons. Umana e fu celebrata con grandiosa solennità, in “una marea di popolo furono portate in processione per le vie della città le sue reliquie”, addirittura l’eremo con la grotta del santo “attrasse un gran numero di penitenti, che vestendo il saio eremitico di san Corrado han dato vita a numerosi romitori nelle vicinanze della Grotta”.
Calendasco, paese della nascita fisica e spirituale del santo, gli tributa, unico caso, quattro secoli di devozione mai interrotta, e negli anni passati la statua di s. Corrado veniva portata in processione mentre una corona veniva posta sul capo del santo nel quadro della cappella a lui dedicata in chiesa.
Oggi di quella statua non abbiamo più traccia e la processione dal romitorio alla chiesa avviene con la importante reliquia donata dai Canonici della Cattedrale nel 1961.
Di san Corrado Confalonieri in ogni secolo scrittori di chiara fama ci hanno lasciato opere pregevoli nel campo della narrativa biografica, destinate a rendere sempre più viva ed ammirata nel tempo la sua memoria ed anche la terra piacentina, di questi tempi non è stata da meno.
U. B.

                            

                                  


  





                                        

                                                           

 

                     

  
 
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