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L'INCENDIO
testo
di Umberto Battini
dal
volume sugli INEDITI PIACENTINI 2006
o
La causa che spinge il nobile Corrado a dare
una svolta alla sua vita è collegata senza ombra di dubbio al
fatto dell’incendio che provocò durante una battuta di caccia.
Siccome fu incolpato del danno un innocente contadino, Corrado lo
fa liberare ammettendo la colpa: lui è il colpevole e lui è
l’uomo da punire. Gli antichi Statuti piacentini sono da datare
al 1322-36, Galeazzo I Visconti milanese e Signore di Piacenza morì
nel 1328, gli studiosi propendono perché “una compilazione di
norme da lui ordinata, potrebbe essere avvenuta soltanto nel
periodo fra il 29 dicembre
1322 in
cui ritornò al potere, e il
1327 in
cui ne fu deposto. In questo arco di tempo cade appunto la
compilazione del 1323 cui si aggiunsero altre norme che risultano
confermate nel 1336 da Azzone Visconti... ed altre ancora poste
sotto gli anni 1341-
1342”
e proprio queste antiche leggi trattano anche dell’incendio:
“Munita di sanzione penale era soltanto la norma relativa
all’incendio doloso, e la pena variava a seconda dell’entità
del danno arrecato... tuttavia il condannato poteva sottrarsi alla
pena corporale pagando al Comune la somma di 200 lire entro
quindici giorni dalla condanna, e risarcendo completamente il
danno”. Per la cessione dei beni in caso di dover pagare per un
danno causato, quale appunto l’incendio, oltre alla forma della
espropriazione dei beni da parte del potere civile, poteva essere
attuata “la volontaria cessione di tutti i beni da parte del
debitore”.
La famiglia del santo era guelfa, intimamente legata alla chiesa
piacentina e molto vicina ai francescani. Nello stesso borgo di
Calendasco esisteva una piccola comunità di frati laici della
Penitenza, cioè del Terzo Ordine francescano che erano conosciuti
per il loro modo di vivere in povertà al servizio di tutti, anche
dallo stesso giovane Corrado.
La Tradizione dell’incendio, che si è tramandata da secoli nel
piacentino, narra di due possibili luoghi: la località Case
Bruciate di Travazzano nei pressi di Carpaneto – ove i
Confalonieri possedevano una Casa Torre con delle terre presso
Celleri – oppure il Villa Campadone – luogo vicino a
Calendasco e rientrante nel feudo che gli stessi qui avevano.
Un ‘molino brugiato’ c’è anche nei pressi dello stesso
paese e proprio ove nel 1805 le mappe catastali napoleoniche
indicano il “molino Raffoni”, quello legato alla tradizione
del gorgolare. Il molino bruciato posto a Calendasco confina con
la strata levata, cioè la strada che è rialzata proprio per far
sì che il rivo macinatore possa far quel salto necessario a
smuovere la grande pala del molino.
Ma anche una nuova ipotesi per collocare l’incendio causato dal
giovane san Corrado può aggiungersi a queste: infatti non molto
lontano da Calendasco, a pochi chilometri – (circa quattro) - in
direzione di San Nicolò a Trebbia, esiste una località chiamata
‘
la Bruciata
’ di antica memoria.
Il fatto eccezionale è dato da una pergamena dell’11 gennaio
1589: è una investitura di un fondo terriero di 200 pertiche
fatta dai monaci di Quartazzola (località a pochi chilometri da
Piacenza posta non molto lontano dal fiume Trebbia) ad un certo
Cesare Viustino che è erede del fu Alfonso.
La pergamena riporta che le terre sono poste nel territorio di
Calendasco, in direzione di San Nicolò e nel luogo detto “alla
Brugiata”: una vasta area agricola coltivata di ben 200 pertiche
(pensate che un campo da calcio è di circa 4 pertiche
piacentine).
A diritto questo grande spazio rurale fatto di campi coltivabili,
vitigni e zone a bosco può essere ritenuto il luogo
dell’incendio di san Corrado Confalonieri? A mio avviso si, con
un buon margine di possibilità, data dalla ragionevolezza che una
così vasta possessione terriera sia ricordata nel ‘500 con il
nome ‘Bruciata’, sintomo che lì vi fu nei tempi andati un
possente incendio che ancora segnava la toponomastica e la memoria
della gente.
Per restare in argomento una carta sempre dei frati Bernardini di
Quartazzola del 23 giugno 1654 testimonia del fitto di terre ad un
certo signor Viustino (discendente dell’altro prima citato)
poste alla “Bre” in territorio di Calendasco che sono al
ridosso confinale con i paesi di San Nicolò e Santimento.A buon
diritto ritengo che se la certezza per l’incendio corradiano non
è possibile darla per scontata, tutto quello che la vecchia
storiografia dava come unico dato, cioè citando solo ed
esclusivamente quale posto del danno ‘le Case Bruciate’
dell’area di Travazzano, sia da ritenere sorpassata e ampiamente
messa in discussione dai nuovi dati storici inediti che ho
rintracciato in Archivio di Stato di Parma e Piacenza: cioè il
molino Bruciato di Calendasco e soprattutto l’area agricola nel
territorio dello stesso Calendasco chiamata ancora nel 1589
la Bruciata
, ha più valore storico per crederla area dell’incendio
corradiano, al contrario di quello che può essere un toponimo
relativo a delle poche case andate bruciate.
Note al testo
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti
Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica
Editrice Piacentina, Piacenza 1972; pagg.12-13; ringrazio per
avermi permesso di consultare l’importante volume il Sig. Romano
Gobbi attento cultore della storia piacentina
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti
Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica
Editrice Piacentina, Piacenza 1972, pag.72-73
GIACOMO MANFREDI Gli Statuti di Piacenza del 1391 e i Decreti
Viscontei, a cura della Banca di Piacenza, Unione Tipografica
Editrice Piacentina, Piacenza 1972, pag.126-127
sull’hospitale di Calendasco che era al passo del Po sulla Via
Francigena non ci sono più dubbi, già ne trattai nel II°Convegno
Nazionale di Studi in onore di S. Corrado Confalonieri –
Calendasco 1999 e con maggior ampiezza nella relazione che ho
svolto in: III° Convegno Nazionale di Studi in onore di S.
Corrado Confalonieri – Piacenza 18 marzo 2000 Auditorium S.
Ilario, Partner organizzativo
la Banca
di Piacenza
ASPC notaio Lelio Degani pacco n.15393, ove una carta del 1653
cita appunto il molino brugiato in loco calendaschi e la strada
levata o rialzata.
ASPR Convento di Quartazzola di S. Maria e S. Salvatore, pergamena
in corsiva latina, pacco LXXVII 1, doc. del 11 gennaio 1589;
sempre nel Fondo di questo Convento una pergamena del 14 febbraio
1277 tratta di una pecia terra culta que est quatuor jugera che è
posta in Capitis Trebie,cioè Cò Trebbia (vecchia) luogo in cui
sorge la famosa abbazia dipendente da S. Sisto di Piacenza ove si
tennero le Diete del Barbarossa nel 1158
anche questa pergamena è un inedito da me rinvenuto in quanto
nessuno aveva mai dato peso al fatto che in essa si trattasse di
questa area agricola detta ‘bruciata’
ASPR Convento di Quartazzola di S. Maria e S. Salvatore pacco
LXXVII 1 – AI° AII°, pergamena n.19
dal
volume AA.VV. "San Corrado Confalonieri - i documenti inediti
piacentini"
edizioni
Compagnia di Sigerico 2006 - Calendasco (Pc)
estratto breve con il brano relativo
all'incendio
S. Corrado
Confalonieri
Cenni Biografici
di Salvatore
Guastella
Noto 1955
Il
Cavaliere
I Santi sono
l’opera sovrana di Dio, che lo rivelano al mondo e ne annunziano
e dilatano la gloria.
S.
Corrado Confalonieri lo prova in maniera luminosa. Cogliamo i
tratti più caratteristici della sua vita, ad edificazione della
nostra devozione per Lui nostro Celeste Patrono.
Nasce a Piacenza, in Emilia, dalla illustre famiglia dei
Confalonieri verso la fine del sec.
XIII, tra il 1284 e il 1290. Secondo l’uso del tempo e la sua
condizione, cresce Corrado appassionato delle armi e si diletta
assai di caccia. Carattere retto e gioviale il suo, che lo fa
amico sincero e cittadino integerrimo. Si impone all’ammirazione
di tutti per il suo amore alla giustizia. Nelle malaugurate
lotte intestine di allora, i cittadini dei vari Comuni d’Italia
si dividevano in Guelfi e Ghibellini. Corrado è di parte Guelfa,
ma i suoi nemici politici non lo infastidiscono ne lo espellono
in esilio come elemento indesiderato: la sua bontà invero è nota
a tutti: i poverelli non ricorrono invano alla sua carità.
Corrado è un credente: ma iddio ha dei grandi disegni su di lui.
I Santi sotto l’azione della grazia di Dio si preparano all’alta
missione cui sono destinati, poiché la santità è grandezza e
solo le cose piccole non si preparano.
Attraverso i più svariati avvenimenti domestici e sociali, lieti
e dolorosi, con lavorio lento e misterioso, Dio va maturando
questo generoso cavaliere piacentino per l’istante solenne e
decisivo in cui si slancerà con tutto l’impeto delle sue energie
nelle vie della santità.
In
Corrado insomma si tratta di distruggere in un colpo l’immensa
distanza che corre tra il cristiano alla buona e l’eroe
cristiano, tra il pellegrino pedestre e l’aquila dal volo
sublime, tra Corrado l’onesto e Corrado il Santo!
Richiamiamo il fatidico incendio. Siamo nei dintorni di Piacenza
e precisamente nella boscaglia dove Corrado caccia lietamente
con una brigata di amici. Passano ore di infruttuosa
fatica,perché il luogo è selvoso e pieno di cespugli, e la
selvaggina è appiattata in densa macchia inaccessibile ai cani.
Per
subitaneo pensiero proprio o imprudente suggerimento dei
compagni, Corrado vi fa appiccare il fuoco per scovare gli
animali nascosti. Ma levatosi un forte vento, il fuoco si dilata
ben presto. Riuscito vano ogni tentativo o sforzo per spegnerlo
o circoscriverlo almeno, Corrado e gli altri, afflitti e mesti,
se ne tornano per vie diverse alla città. I nembi di fumo e il
crepitio altissimo delle fiamme chiamano tutti gli abitanti
fuori delle mura. L’opera dell’uomo è impotente a isolare
l’incendio; e in breve il bosco, le case limitrofe, i vicini
campi biondeggianti di messi, tutto è in preda del fuoco.
Era allora Governatore di Piacenza Galeazzo
Visconti, in qualità di Vicario imperiale. Il fatto accadde
probabilmente nell’estate del 1313. Pare che l’incendio, dovuto
involontariamente alla giovanile imprudenza di Corrado
Confalonieri, accadesse nel tempo che Galeazzo sta in timore di
qualche movimento ed assalto dei Guelfi in esilio. Perciò al
primo avviso datogli, il Governatore sospetta di uno stratagemma
militare per attirare le milizie fuori della città o almeno che
sia un segnale ai Guelfi di dentro. Manda i suoi uomini, e
sorprendono un tale scampato miracolosamente a quell’uragano di
fuoco, che fugge per l’aperta campagna. La fuga, il manifesto
timore, il pallore, la confusione nel rispondere e l’incoerenza
delle sue parole sono o sembrano indizi sufficienti, giusta gli
usi d’allora, perché si proceda all’arresto e alla tortura.
Questo barbaro procedimento, che non di rado giovava ai rei più
robusti ed astuti per
purgare, come dicevano, gli
indizi
che erano contro di loro, non serve questa
volta che ad estorcere una falsa accusa: perché l’infelice si
dice colpevole dell’incendio. Perciò viene condannato alla forca.
Il reo, scortato, passa sotto al palazzo dei Confalonieri.
Corrado, di cui nessuno sospetta, informato dell’esito di quel
processo, non può soffrire nell’animo suo cristiano e nobile che
un innocente sconti la pena della imprudenza sua.
Coll’animo agitato lo contempla dal balcone. Non regge più a
quella vista, cede all’impulso del suo nobile cuore, e benché
non tenuto ad accusare se stesso, scende precipitosamente le
scale, si apre la via tra la folla, arresta il corte, e grida
forte: “Slegate quell’innocente, restituitelo alla desolata
famiglia. L’autore involontario del grande disastro è qui: sono
io!”. Quel grido scoppia in mezzo all’attonita folla come un
fulmine, e in mezzo ad un sacro silenzio si svolge allora una
scena sublime tra gli agenti della forza che hanno ricevuto
ordini perentorii e Corrado che vuole liberare l’innocente. Alla
fine, dopo un lungo e aspro dibattito, l’eroico giovane vince la
grande partita.
L’innocente è gia in mano di Corrado che per tutelarne meglio la
libertà e la vita lo custodisce nella propria casa. Va quindi al
palazzo del Vicario imperiale, ove prima di lui sono già tornati
gli esecutori. Trova Galeazzo Visconti molto irato. Ma Corrado
con franchezza e insieme con rispetto e prudenza dice non aver
agito per astio contro il magistrato e la giustizia, ne intende
sottrarre un imputato alla pena.
Perciò lo tiene custodito in casa sua agli ordini dell’autorità.
Ha agito così per toglierlo lì per lì agli
esecutori, per acquistar tempo da mettere in chiaro l’innocenza
di quell’uomo, e risparmiare al magistrato un rimorso tardivo e
infruttuoso d’essersi ingannato nel giudicarlo. E narrando per
filo e per segno quanto gli è accaduto nella partita di caccia,
sui accusa chiaramente di imprudenza e prova l’innocenza di
quell’innocente malcapitato. Galeazzo non lo condanna, in quanto
Corrado è gentiluomo; e anche perché Corrado si spoglia
volontariamente di tutti i suoi beni per risarcire i danni.
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