MESSINA
 
Articolo sull'eremo detto di "San Corrado" del 1661
  ricerca e trascrizione del testo a cura di Giuseppe Lombardo
 

 Fonte: emeroteca del Gabinetto di Lettura di Messina

                   

GAZZETTA DI MESSINA E DELLE CALABRIE
Martedì-Mercoledì 18-19 Luglio 1905
Note di Storia e d'Arte

 

L'Eremo di S. Corrado

Sopra un'amena collina dalla quale magnifico è il panorama della Città con le Calabrie e lo stretto, sorge l'abolito eremo di S. Corrado, uno tra i antichi del genere che sieno sorti tra noi. Esso fu eretto nel secolo XVII per accogliervi pochi frati ansiosi di vita frugale, lontana dal mondo, e venne allora occupata un'antica cappella che nei principii del cinquecento era stata rifatta da tal Stefano Pasca, messinese, per sua devozione.

Quale cappella, assai frequentata dai fedeli, di Santa Maria di Visitò, forse per le continue visite dei devoti, o perchè la Madonna colà venerata era vestita a bruno, cioè visitusa, come il popolo denomina ancora le vedove. E di tanta devozione popolare eran prova i numerosissimi doni votivi che quasi coprivano le pareti della cappella, mentre dal tetto pendevano modelli di navi, di galere, di galeotte, per avere la Madonna liberato molti naviganti da tempesta o da corsari.

La cappella antica, passata ai romiti e da loro ampliata, veniva però col tempo a perdere la grande affluenza di devoti che da essa traevano, e questo perchè la collina dove sorgeva, era stata prescelta ad asilo di non poche malfattori, i quali poco devotamente assalivano e derubavano i fedeli che traevano al romitaggio.

Nel 1661 però fra Pietro Gazzetti da Modena e fra Pietro da Taormina pensavano di interessare i magistrati su tale inconveniente, e la forca ben presto apprestò al persuasivo e convincente rimedio, che vennero appagati i voti comuni. I frati quindi s'installarono nell'eremo abbandonato, lo restaurarono, e traendo profitto dal nome recentemente acquistatosi sugli altari da S. Corrado, eremita da Piacenza, poco alla volta ne introducevano la devozione fra noi.

Il nobile Don Cesare Marullo intanto, marchese di Condagusta, principe dei Cavalieri della Stella e Senatore che la Città avea prescelto sovente ad alte funzioni, era stato colpito da paralisi, nè i medici del tempo avean potuto restituirlo alle alte cariche cui la città lo continuava a chiamare, e sdesso. Il frate Gazzetti tentò la intercessione di S. Corrado, e con esito felicissimo, tanto che nel 1665, lasciando l'eremo dov'era rimasto quattro anni appena, vedea sorgere nella chiesa una cappella col quadro del Santo romito, tutta munificente spesa del Marullo, ch'era rimasto completamente guarito. E d'allora, divulgato il miracolo , la chiesa abbandonava del tutto il nome di Maria di Visitò, e veniva dedicata a S. Corrado.

Il quadro commesso dalla fede del Marullo, esiste ancora nella cappella in parola, all'altare di sinistra entrando, vi è una tavola pur buona di artista  ignoto, che prova come l'insigne patrizio, col ricordo della sua fede, abbia voluto lasciare al paese anche un'opera d'arte semicircolare nella parte superiore, e delle misure di m.2 x 1,50, il quadro esprime S. Corrado, vestito di rustica lana, moribondo, nelle braccia di due angeli ed accanto alla rozza croce che avea attaccato ad un trocco d'albero. In fondo si vede la foresta, ben delineata che d'effetto, ed egualmente ben delineata ed espressiva è la testa del Santo.

All'angolo di sinistra, in basso al quadro, è lo stemma di Casa Marullo, e nell'altro lato si legge:

S.CORRADVS
GONFALONERVS
PLACENTINVS

Nessun accenno però al committente del dipinto, il quale si limitò a farsi ricordare con le armi del suo casato, nè vedesi firma alcuna del dipintore.

Non é questo però il solo quadro che ho potuto notare nella chiesetta dell'eremo. All'altare maggiore, ho avuto il piacere di verificare che ancora vi esiste la "molto antica e veneranda" icona che il Samperi assicura essere già stata in una cappelletta allo Scoppo, da dove la tolse Stefano Pasca nei principii del cinquecento e la trasferì nella chiesetta cappella del Visitò. Ed il Samperi anzi, nella sua Iconologia, curò darci la riproduzione del pezzo centrale di questo dipinto, e v'inserì una rozza incisione del messinese Emanuele D'Alfio.

Questa icona intanto, mai da alcuno notata pria d'ora, merita la maggiore considerazione come opera della scuola messinese del trecento, e si presenta a fondo dorato, con sui compartimenti divisi in due ordini, il tutto delle misure di m. 1,19 X 1,31.

Nel centro del pezzo inferiore, vedesi dipinta la intera figura della Madonna sedente col Putto, il quale ha in mano un cartoccio svolazzante, con la scritta: Spiritus domini in me cuius gratia unctaviò ms; ai lati della testa della Madonna - seguendo ancora l'uso bizantino - si legge il nome rifatto: S. Maria di Visito : in basso, ai lati della Madonna stessa, sono ritratte due piccole figure, un uomo e una donna, in atto di  preghiera, forse i committenti del quadro. Il pezzo centrale è fiancheggiato poi da altri due scompartimenti, dove stanno espressi in piedi S. Pietro da una parte e S. Paolo dall'altra.

La parte superiore intanto della icona anche a tre scompartimenti ma più piccoli e di forma semicircolari nell'alto. In centro vedesi espresso un Cristo benedicente, a mezza figura, con a sinistra la mezza figura in terza Elia, con la leggenda: Helia Propheta, ed a destra l'altra mezza figura di Mosè, con la scritta: Moises Propheta. In basso finalmente, e sotto la figura di S. Pietro citata si legge la seguente iscrizione riferentesi a tutta la icona: ”1553, servur domini nostri Ihesus Christi Antonius Cotrunev”.

Da quale iscrizione chiaro si deduce che ne 1553 il romito Antonio Cutroneo (famiglia ancor nota in Messina) facea rifare la icona in discorso per sua devozione, con un largo restauro chiaramente visibile, ed alterava un dipinto di alta importanza per la sua età ma che – senza quel restauro – non avrebbe sfidato assai probabilmente altri tre secoli e mezzo per pervenire fino a noi.

In quel restauro forse, la icona venne privata degl’intagli  che ne decoravano al centro i sei scompartimenti, lavori che oggi avrebbero avuto grande valore per noi, poiché nel secolo XIV riri tipi di intaglio sono scampati alle vicende cui è rimasta soggetta Messina. La icona però, è nel suo complesso un bel documento dell’arte nostra, e ci ricorda una età della quale non è rimasta alcuna memoria di nomi di pittori – che pur qui furono fiorentissimi – tranne quella di un Enrico Scarfia (forse gli Scarfì di oggi) che lavorava nel 1336, e di cui io pel primo ho già dato notizia.

Pria di uscir dalla chiesa, ho voluto trascrivere la lapide, ancora inedita, che nel 1727 fu scolpita nella lastra della sepultura dell’eremo, e che mi è piaciuta per concetto e par forma latina. Eccola:

VOS MUNDO MORTUOS
SAXOSA EXCEPIT EREMUS
OS VITA FUNCTOS GELIDUM
CONTEXIT SAXUM
NUNC BIS MORTUI
BEATAM EXPECTANT SPEM
VOS ITTIDEM
SOLI VIVITE DEO
SI CUPITIS ESSE BEATI
ET ORATE PRO EIS
IN MUNDO SPES NULLA BONI SPES
NULLA SALUTIS
UNA SALUS SERVIRE DEO SUNT
CAETERA FRAUDES
1727

 

Ed ora una considerazione. Pressochè chiusa al culto la chiesa – com’è attualmente – non potrebbe l’amministrazione municipale interessare chi di ragione a depositare nel museo la icona in discorso, sostituendola con altra immagine della Madonna, tanto più che quella in discorso non è più la Titolare della chiesa, ne ispira devozione speciale alcuna? Gli studiosi non troveranno agevole mai lo accedere in un locale erto – per quanto pittoresco – qual è quello di S. Corrado, ne sarà loro facile vedere un quadro in una chiesa sempre chiusa. Oltre a ciò, qual garenzia avere anche il paese per la custodia di un’opera di valore, che nessuno custodisce? Il Museo invece è la sede adatta per la conservazione dei documenti della nostra antica cultura, ed io mi auguro che il Conte Marullo ed il marchese Alliata del Ferraro vorranno ancora una volta dar prova del loro indefesso attaccamento per la storia del paese, e ritireranno a vantaggio degli studiosi un’opera che documenta l’arte pittorfesca messinese al secolo XIV.

Messina, 18 luglio 1905

               Gaet. La Corte Cailler   

                     

ricerca storica e fotografica curata da Giuseppe Lombardo (Messina)

vedi anche il sito www.messinaierieoggi.it

 

 

                      
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