Fonte:
emeroteca del Gabinetto di Lettura di Messina
GAZZETTA DI MESSINA E DELLE
CALABRIE
Martedì-Mercoledì 18-19 Luglio 1905
Note di Storia e d'Arte
L'Eremo di S.
Corrado
Sopra un'amena collina dalla quale
magnifico è il panorama della Città con le Calabrie e lo
stretto, sorge l'abolito eremo di S. Corrado, uno tra i
antichi del genere che sieno sorti tra noi. Esso fu
eretto nel secolo XVII per accogliervi pochi frati
ansiosi di vita frugale, lontana dal mondo, e venne
allora occupata un'antica cappella che nei principii del
cinquecento era stata rifatta da tal Stefano Pasca,
messinese, per sua devozione.
Quale cappella, assai frequentata
dai fedeli, di Santa Maria di Visitò, forse per le
continue visite dei devoti, o perchè la Madonna colà
venerata era vestita a bruno, cioè
visitusa,
come il popolo denomina ancora le vedove. E di tanta
devozione popolare eran prova i numerosissimi doni
votivi che quasi coprivano le pareti della cappella,
mentre dal tetto pendevano modelli di navi, di galere,
di galeotte, per avere la Madonna liberato molti
naviganti da tempesta o da corsari.
La cappella antica, passata ai romiti
e da loro ampliata, veniva però col tempo a perdere la
grande affluenza di devoti che da essa traevano, e
questo perchè la collina dove sorgeva, era stata
prescelta ad asilo di non poche malfattori, i quali poco
devotamente assalivano e derubavano i fedeli che
traevano al romitaggio.
Nel 1661 però fra Pietro Gazzetti da
Modena e fra Pietro da Taormina pensavano di interessare
i magistrati su tale inconveniente, e la forca ben
presto apprestò al persuasivo e convincente rimedio, che
vennero appagati i voti comuni. I frati quindi
s'installarono nell'eremo abbandonato, lo restaurarono,
e traendo profitto dal nome recentemente acquistatosi
sugli altari da S. Corrado, eremita da Piacenza, poco
alla volta ne introducevano la devozione fra noi.
Il nobile Don Cesare Marullo intanto,
marchese di Condagusta, principe dei Cavalieri della
Stella e Senatore che la Città avea prescelto sovente ad
alte funzioni, era stato colpito da paralisi, nè i
medici del tempo avean potuto restituirlo alle alte
cariche cui la città lo continuava a chiamare, e sdesso.
Il frate Gazzetti tentò la intercessione di S. Corrado,
e con esito felicissimo, tanto che nel 1665, lasciando
l'eremo dov'era rimasto quattro anni appena, vedea
sorgere nella chiesa una cappella col quadro del Santo
romito, tutta munificente spesa del Marullo, ch'era
rimasto completamente guarito. E d'allora, divulgato il
miracolo , la chiesa abbandonava del tutto il nome di
Maria di Visitò, e veniva dedicata a S. Corrado.
Il quadro
commesso dalla fede del Marullo, esiste ancora nella
cappella in parola, all'altare di sinistra entrando, vi
è una tavola pur buona di artista
ignoto, che prova come
l'insigne patrizio, col ricordo della sua fede, abbia
voluto lasciare al paese anche un'opera d'arte
semicircolare nella parte superiore, e delle misure di
m.2 x 1,50, il quadro esprime S. Corrado, vestito di
rustica lana, moribondo, nelle braccia di due angeli ed
accanto alla rozza croce che avea attaccato ad un trocco
d'albero. In fondo si vede la foresta, ben delineata che
d'effetto, ed egualmente ben delineata ed espressiva è
la testa del Santo.
All'angolo di sinistra, in basso
al quadro, è lo stemma di Casa Marullo, e nell'altro
lato si legge:
S.CORRADVS
GONFALONERVS
PLACENTINVS
Nessun accenno però al committente
del dipinto, il quale si limitò a farsi ricordare con le
armi del suo casato, nè vedesi firma alcuna del
dipintore.
Non é questo però il solo quadro
che ho potuto notare nella chiesetta dell'eremo.
All'altare maggiore, ho avuto il piacere di verificare
che ancora vi esiste la "molto antica e veneranda" icona
che il Samperi assicura essere già stata in una
cappelletta allo Scoppo, da dove la tolse Stefano Pasca
nei principii del cinquecento e la trasferì nella
chiesetta cappella del
Visitò.
Ed il Samperi anzi, nella sua
Iconologia,
curò darci la riproduzione del pezzo centrale di questo
dipinto, e v'inserì una rozza incisione del messinese
Emanuele D'Alfio.
Questa icona intanto, mai da alcuno
notata pria d'ora, merita la maggiore considerazione
come opera della scuola messinese del trecento, e si
presenta a fondo dorato, con sui compartimenti divisi in
due ordini, il tutto delle misure di m. 1,19 X 1,31.
Nel centro del pezzo inferiore,
vedesi dipinta la intera figura della Madonna sedente
col Putto, il quale ha in mano un cartoccio svolazzante,
con la scritta:
Spiritus domini in me cuius gratia
unctaviò ms; ai lati
della testa della Madonna - seguendo ancora l'uso
bizantino - si legge il nome rifatto:
S. Maria di Visito
: in basso, ai lati della Madonna
stessa, sono ritratte due piccole figure, un uomo e una
donna, in atto di
preghiera, forse i
committenti del quadro. Il pezzo centrale è
fiancheggiato poi da altri due scompartimenti, dove
stanno espressi in piedi S. Pietro da una parte e S.
Paolo dall'altra.
La parte superiore intanto della
icona anche a tre scompartimenti ma più piccoli e di
forma semicircolari nell'alto. In centro vedesi espresso
un Cristo benedicente, a mezza figura, con a sinistra la
mezza figura in terza Elia, con la leggenda:
Helia Propheta,
ed a destra l'altra mezza figura di Mosè, con la
scritta:
Moises Propheta.
In basso finalmente, e sotto la figura di S. Pietro
citata si legge la seguente iscrizione riferentesi a
tutta la icona: ”1553, servur domini nostri Ihesus
Christi Antonius Cotrunev”.
Da quale iscrizione chiaro si deduce
che ne 1553 il romito Antonio Cutroneo (famiglia ancor
nota in Messina) facea rifare la icona in discorso per
sua devozione, con un largo restauro chiaramente
visibile, ed alterava un dipinto di alta importanza per
la sua età ma che – senza quel restauro – non avrebbe
sfidato assai probabilmente altri tre secoli e mezzo per
pervenire fino a noi.
In quel
restauro forse, la icona venne privata degl’intagli
che ne decoravano al centro
i sei scompartimenti, lavori che oggi avrebbero avuto
grande valore per noi, poiché nel secolo XIV riri tipi
di intaglio sono scampati alle vicende cui è rimasta
soggetta Messina. La icona però, è nel suo complesso un
bel documento dell’arte nostra, e ci ricorda una età
della quale non è rimasta alcuna memoria di nomi di
pittori – che pur qui furono fiorentissimi – tranne
quella di un Enrico Scarfia (forse gli Scarfì di oggi)
che lavorava nel 1336, e di cui io pel primo ho già dato
notizia.
Pria di uscir dalla chiesa, ho voluto
trascrivere la lapide, ancora inedita, che nel 1727 fu
scolpita nella lastra della sepultura dell’eremo, e che
mi è piaciuta per concetto e par forma latina. Eccola:
VOS MUNDO
MORTUOS
SAXOSA EXCEPIT EREMUS
OS VITA FUNCTOS GELIDUM
CONTEXIT SAXUM
NUNC BIS MORTUI
BEATAM EXPECTANT SPEM
VOS ITTIDEM
SOLI VIVITE DEO
SI CUPITIS ESSE BEATI
ET ORATE PRO EIS
IN MUNDO SPES NULLA BONI SPES
NULLA SALUTIS
UNA SALUS SERVIRE DEO SUNT
CAETERA FRAUDES
1727
Ed ora una considerazione. Pressochè
chiusa al culto la chiesa – com’è attualmente – non
potrebbe l’amministrazione municipale interessare chi di
ragione a depositare nel museo la icona in discorso,
sostituendola con altra immagine della Madonna, tanto
più che quella in discorso non è più la Titolare della
chiesa, ne ispira devozione speciale alcuna? Gli
studiosi non troveranno agevole mai lo accedere in un
locale erto – per quanto pittoresco – qual è quello di
S. Corrado, ne sarà loro facile vedere un quadro in una
chiesa sempre chiusa. Oltre a ciò, qual garenzia avere
anche il paese per la custodia di un’opera di valore,
che nessuno custodisce? Il Museo invece è la sede adatta
per la conservazione dei documenti della nostra antica
cultura, ed io mi auguro che il Conte Marullo ed il
marchese Alliata del Ferraro vorranno ancora una volta
dar prova del loro indefesso attaccamento per la storia
del paese, e ritireranno a vantaggio degli studiosi
un’opera che documenta l’arte pittorfesca messinese al
secolo XIV.
Messina, 18 luglio 1905
Gaet. La Corte
Cailler
ricerca storica e fotografica curata da Giuseppe Lombardo (Messina)
vedi anche il sito www.messinaierieoggi.it