LA
VITA DI SAN CORRADO CONFALONIERI |
foto Vincenzo Coffa
|
BREVE
VITA TRATTA
DALLE
FONTI STORICHE E DALLA TRADIZIONE ANTICA
Il
giusto deve giudicare la sua vita in confronto con gli esempi dei
migliori, poiché gli esempi, quasi sempre, colpiscono più delle
parole.
Cronaca
francescana di Tommaso da Eccleston.
San
Corrado della nobile Famiglia dei Confalonieri nasce nel
1290 a
Piacenza in Castrum Calendaschi, non molto lontano dalle rive del
fiume Po.
Fin
dalla giovinezza è addestrato agli usi ed ai costumi della
cavalleria; nelle campagne prossime alla città Corrado è solito
andare a caccia. Assiste anche allo sviluppo dell’Ordine
francescano ed al gran numero di laici che vi aderiscono: a
Piacenza i Confalonieri sono stimati come apertamente schierati
con i guelfi, di salda fede papale.
Anche
nel borgo di Calendasco, poco discosto dal suo maniero, vi è un
piccolo eremo-hospitio per pellegrini e poveri gestito da frati
Penitenti riconosciuti nell’Ordine Terziario di S. Francesco.
Corrado è un giovane dedito ai piaceri della sua posizione
nobiliare feudale, una mattina prossima all’estate, verso
l’anno 1315, di buon ora esce accompagnato dai suoi servitori,
per una battuta di caccia nella campagna. Nonostante i battitori e
l’uso di cani da caccia, pare che la vegetazione incolta sia un
utile rifugio alla selvaggina, e quindi Corrado ordina ai suoi
uomini di appiccare piccoli incendi alla radura ed alle sterpaglie
prossime all’incolto.
Purtroppo
un vento possente aiuta il divampare delle fiamme, che ormai
divenute incontrollabili, ardono oltre che la piccola foresta
anche i campi colti a frumento, gli armenti che vi pascolano ed
alcune masserie abitate da contadini.
Accortosi
che le fiamme sono indomabili, per la scarsità di acque utili a
spegnerle e per la dimensione dell’incendio, decide di lasciare
il luogo ritirandosi entro le mura della sua casa cittadina.
Ordina
prontamente ai servitori, pena la loro stessa vita, di non dir
niente del danno e della colpa relativa all’incendio.
Nel
frattempo, il Visconti, che era Signore di Piacenza, venuto a
conoscenza del grave danno accaduto nelle campagne e che ha
distrutto animali e fattorie, da ordine ai suoi sgherri di
arrestare colui che ne fosse il colpevole. Viene accusato un
povero contadino sorpreso a bruciare stoppie ed erbacce secondo la
normale consuetudine agricola. Il poveraccio non riesce ovviamente
a mostrare le sue ragioni e viene prontamente processato e
condannato alla pena di morte.
Nel
frattempo Corrado, venuto a conoscenza che un innocente entro
breve sarà giustiziato per colpa sua, inizia un travaglio della
coscienza, che in accordo con la moglie Eufrosina, lo porta ad
ammettere la propria colpa dinnanzi al Visconti.
Il
contadino è liberato, ha la vita salva, mentre Corrado che è già
per motivi di famiglia avverso al Visconti, ghibellino, è
condannato al risarcimento dei danni causati.
Anche
Corrado ha la vita salva in quanto egli è un Nobile ma ugualmente
è costretto a riparare del danno fatto e costretto dall’evento,
vende ogni suo bene per tal fine, riducendosi ormai a stato di
povertà.
In
questo periodo viene disconosciuto anche dalla Famiglia,
oltraggiato e deriso dal mondo feudale che fino a poco tempo prima
godeva dei suoi stessi beni, privilegi ed amicizia.
Matura
intanto dentro a se una conversione estrema: la sua educazione ai
valori cristiani lo spinge ad avere una compunzione carica di
dolore dei suoi peccati, l’esempio dei poveri fraticelli della
Penitenza di S. Francesco sono uno stimolo a ricercare ormai in
altro luogo la soddisfazione della sua persona. In intesa con la
moglie Eufrosina vende quel poco che gli resta e lo dona ai
poveri, e secondo
la Regola
francescana esplicata con
la Bolla Supra
Montem nel 1289 dal Papa Gregorio IX, relativa ai laici uomini e
donne convertiti alla penitenza del Terzo Ordine – entrata la
moglie Eufrosina nelle Clarisse – si ritira egli stesso nel
piccolo eremo-hospitio dei Penitenti di Calendasco.
Inizia
qui il cammino della sua conversione che lo porterà, alla fine
dell’itinerario spirituale che attuerà per tutta la vita in
modo sempre più perfetto, alla gloria del Paradiso ed agli onori
degli Altari della Chiesa cattolica.
Nel
piccolo hospitio vive assieme a pochi altri fraticelli sotto la
guida spirituale di Frate Aristide, lo stesso che qualche decennio
prima era stato chiamato a Montefalco per edificare il nuovo
convento delle clarisse, voluto dalla stessa Santa Chiara di
Montefalco, Nobile dei Bennati.
Il
progresso di Corrado penitente segue varie tappe, dalla iniziale
fase dello sconforto, dello scherno che egli subisce dalle genti,
all’umiliazione di chi si trova di colpo da uno stato agiato ad
uno di massima povertà e disagio, fino al progressivo suo vincere
lo sconforto e progredire nella adesione più sincera al Vangelo
di Cristo.
Nell’eremo,
che è anche hospitale per i pellegrini che giunti al Po
proseguono verso Roma o inversamente, per il nord Italia e
la Francia
, impara ad essere umile e servizievole.
Qui
infatti si unisce la preghiera e la contemplazione con la vita
attiva, con il lavoro manuale appunto compiuto nella accoglienza
cordiale degli sconosciuti e dei bisognosi in genere.
Dopo
un buon numero di anni e di lodevole servizio ed essendosi sparsa
la voce del suo progresso spirituale, le genti della zona
piacentina iniziano a recarsi presso di lui in cerca di guida e
consiglio.
Corrado
ormai è avviato sulla via della ricerca della contemplazione più
perfetta per avvicinarsi a Dio sempre più, grazie alla lettura
del Vangelo e allo studio dei libri dei Padri della Chiesa su come
raggiungere uno stato di vita il più possibile lontano dal
frastuono del mondo, quindi decide di partire pellegrino alla
volta dei luoghi santi di Roma.
In
questo comportamento possiamo già infatti leggere quel richiamo
all’abbandono dei legami famigliari e materiali con il mondo che
gli appartiene e che si esprime nell’insegnamento dei Padri ai
desiderosi di vita solitaria eremitica con la applicazione della
xeniteia: appunto l’abbandono fisico della patria natia e di
tutto ciò che essa rappresenta. Corrado vestito del suo misero
abito fatto di panno tinto grigio all’uso dei penitenti, armato
di sandali e di un bastone se ne parte quindi pellegrino.
Ormai
ha maturato il proposito di dedicarsi interamente a Dio solo, per
questo continua il suo pellegrinare e giunge in Sicilia.
Venuto
a conoscenza che i posti migliori per intraprendere il suo stile
di vita fossero in Val di Noto, qui si dirige e trova il primo
albergo presso il luogo di Palazzolo. Qui è accolto molto
malamente, al punto che oltre ad esserederiso e preso a male
parole volevano anche fargli del male nella persona.
Corrado
se ne parte, inseguito dai cani rabbiosi aizzati dagli abitanti di
quel posto, quasi presagio questo che ora lui è preda
diversamente da quando, giovine, era dedito alla caccia ed
all’inseguire selvaggina.
Giunge
nella città di Noto, ove erano molte buone e devote persone e qui
riconosciuta la sua buona e onesta vita può restare in tutta
tranquillità.
Entrato
in confidenza con un buon uomo, questi lo indirizza al suo primo
ritiro nel luogo detto Le Celle, vicino alla Chiesa di Santa Maria
del Crocifisso.
Qui
dimorando in solitudine, inizia a lavorare il terreno affidatogli
e lo trasforma in luogo coltivato con alberi di frutto e viti. Il
suo progresso non sfugge alle genti, che iniziano a rendergli
visita per chiedere consiglio a questo uomo devoto e religioso
nella Santa Chiesa cattolica. Ma il
suo proposito è quello di trovare completa solitudine, vuole
abitare nel deserto più completo.
Uscito
quindi dalla città di Noto andò ad abitare in un luogo distante
pochi chilometri detto I Pizzi, ove era una valle in cui scorreva
un fiume.
Sul
territorio vede esservi altre grotte e spelonche che già
penitenti usavano come dimora. E qui, immerso nella natura più
aspra, inizia una vita molto dura e oltre alla vita di preghiera
trasforma il luogo ove risiede in un bellissimo giardino
piantandovi aranci, alberi di noci e peri e
svariate
qualità di vitigni.
L’intento
era tanto più benedetto in quanto riusciva ad irrigare questo
bellissimo giardino con l’acqua del fiume che non molto lontano
scorreva.
Viveva
di poco pane e le genti, che si accorsero della sua vita in
astinenza, non sdegnavano di mandargli in dono spesse volte dei
legumi come suo cibo.
Un
giorno, mentre ritornava dalla città di Noto ove era stato a
consolare un suo devoto, passando per le botteghe dei sarti fu
invitato in casa d’uno di questi, che aveva un figlio di sette
anni affetto da una forma d’ernia inguinale che gli aveva reso i
testicoli grossi come pani.
Il
povero sarto che aveva molto sperato di poter chiedere aiuto a fra
Corrado, gli mostra le parti insane del bambino e questi alzando
gli occhi al cielo, facendo un segno di croce, benedisse quell’infermità.
Di
là a poco che frate Corrado se ne era andato il bambino chiamò
il padre mostrandogli d’essere stato sanato: con questo miracolo
molto si sparse la voce della santità del penitente al punto che
quando doveva recarsi nella città di Noto, si calava il cappuccio
fino agli occhi e
velocemente
sbrigava le sue necessità.
Viveva
nella sua solitudine lavorando umilmente. Un giorno il notaio di
Noto Bartoluccio Longo, che era devoto al frate per le sue virtù,
gli mandò per mezzo di un garzone due fiasconi di vino. Il
malizioso garzone ne nascose uno per se nella boscaglia e
l’altro lo consegnò a Corrado, che però, con meraviglia del
giovane, gli chiese del fiascone mancante. Questi ammise la colpa,
e come gli aveva immediatamente predetto il frate, trovò sul
fiascone una serpe velenosa che scostò con un lungo bastone, poi
riportò il maltolto a Corrado che lo ammonì di non ripetere
un’altra
volta un tal gesto.
Il
garzone narrò poi della preveggenza di Corrado al suo padrone che
lo redarguì per la mal azione.
Un’altra
volta, un diverso suo devoto andò a visitarlo. Nel ritornare alla
città, nella boscaglia fu sorpreso da un grande temporale con
molti tuoni e lampi e acqua. Il pover’uomo si riparò in una
grotta e si addormentò: Corrado che stava in orazione, vide in
spirito l’uomo addormentato che sarebbe morto colpito da un
fulmine; partì allora alla volta della grotta ove era il devoto
assopito e dopo averlo redarguito, lo fece riparare nella sua
grotta e lo ammaestrò con buoni sermoni. Questi raccontò poi
alle genti del fatto in cui era incorso e di come il santo frate
l’avesse salvato
ed
in questo modo se ne accresceva la stima.
Un’altra
volta, un garzone gli stava portando dei legumi, quando Satana si
mostrò al giovine dicendogli che Corrado era in un’altra parte
di quella valle e lo portò in un anfratto roccioso ove rimase
pericolosamente in un crepaccio. Il diavolo sotto forma di
persona, sparì, e lasciò il garzone in disgrazia: fra Corrado,
che stava in preghiera nella sua grotta, vide in spirito il
giovane in pericolo che gridava aiuto e si disperava, e corso al
luogo, calandosi nel crepaccio lo liberò dal pericolo; il giovane
poi, tornato a casa raccontò il fatto al padre.
Satana
tentò varie volte il beato Corrado, con pensieri di lussuria, ma
invano non riusciva nell’intento: rispondeva pienamente al voto
di castità che gli imponeva la sua professione religiosa ed anche
mostrava una grande crescita in Spirito e virtù sante.
Allora
il diavolo fece venire a Corrado il desiderio di mangiare carne di
maiale.
Il
beato intraprese anche questa lotta con il maligno e da un suo
devoto si fece portare in dono della ‘longa’ di maiale; quando
l’ebbe, l’appese con un uncino nel mezzo della grotta e
resistette per ben dieci giorni fino a che la carne si riempì di
vermi e imputridì con un puzzo terribile; allora buttò quella
carne marcia e scacciò il pensiero di gola. In tal modo vinse
Satana in virtù di Cristo.
Un
altro suo devoto che un giorno venne a trovarlo presso la grotta
si sentì chiedere da fra Corrado se poteva donargli una grossa
forma di formaggio, il buon uomo tornato a casa manda il figlio,
che si chiamava Corrado, a portare il formaggio promesso al santo
uomo ma la moglie seccata ribattè al marito cosa mai se ne
facesse il frate di quella grande forma, ma il marito ugualmente
mantiene la parola data.
Quando
il figlio giunge dal frate con il dono, fra Corrado lo benedice
con la mano e diviso il formaggio in due, ne affida una metà al
giovine perché la riporti alla madre, dicendogli “Questa metà
è di tua madre e questa è di Gesù Cristo”. Il giovane raccontò
poi dell’accaduto al padre che restò grandemente
meravigliato.
Ma
Satana tornò a far battaglia di gola al beato Corrado,
mettendogli la voglia di mangiare una buona gallina grassa.
Venuta
occasione, un uomo che voleva far del bene al beato ed avendolo
egli espressamente chiesto, gli portò in
dono una bella gallinella grassa.
Corrado
quando fu solo legò i piedi alla gallina e l’appese
all’uncino dentro la grotta e
cominciò a far penitenza mentre il demonio lo tentava con
pensieri di gola; fatta questa battaglia per alcuni giorni, alfine
la gallina si riempì di vermi e come
la toccava si staccavano penne mischiate
a vermi, così vinse il desiderio.
Ed
ancora tentato nella gola di mangiare una cassata, si fece portare
farina di orzo e delle fave.
Corrado
impastò con acqua la farina e le fave e
la mise al sole ad arrostire; quando parve cotta la spezzo ed essa
puzzava forte e il beato ne fu disgustato ed
ancora Satana fu sconfitto nella
tentazione.
Venuta
la stagione dei primi fichi, Corrado ebbe il pensiero di mangiarne
e quindi andò presso al fico e presone uno,
lo ruppe per metà e guardando la
pianta vide che ne era piena e dopo averlo annusato si spogliò
nudo e si rotolò dentro a un grosso
cespuglio di ortiche e di rovi, rigirandosi dentro
fino a colare sangue.
Anche
stavolta il diavolo fu battuto da questo asceta che mostrava ormai
al mondo la forza del suo abbandono totale
alla Provvidenza ed alla sola preghiera
a Dio.
Quando
il beato Corrado stava ancora al luogo delle Celle del Crocifisso
di Noto, il padrone del luogo tal Guglielmo
di Buccheri, servitore del re Federico
II, un giorno durante la caccia fece uno sforzo particolare al che
gli uscì l’anca a tal punto che pareva uno
storpio. Il re per ricompensarlo gli
donò il cortile del castello ove l’uomo fece le Celle e
facendosi frate viveva in penitenza un
poco angustiato dal proprio figlio.
Quando
il suo figliolo si ammalò, fra Guglielmo lo mandò per esser
sanato da Corrado; così avvenne e gli
predisse anche una vita calamitosa tanto
che poi si seppe che questo giovane una volta incappò in un
grande branco di lupi e tempo dopo, fu
catturato come traditore ed impiccato.
Ora
la fama del beato Corrado si spargeva nella città di Noto e nelle
sue terre al punto che il vescovo di
Siracusa volle andare ad incontrare questo campione
di virtù. Quando il vescovo arrivò dall’eremita alla grotta,
entrando vide che era nuda roccia e che era
completamente spoglia, senza letto né
pane eccetto una grossa zucca.
E
Corrado prese la benedizione del vescovo che si fermò nel
giardino con i famigliari ed i
servitori per mangiare e Corrado andò alla sua cella e subito
ne tornò con quattro pagnotte calde.
A
questa vista il vescovo si inginocchiò e disse “E’ più che
non si dice” ma Corrado pure
inginocchiandosi, disse di essere solo un misero peccatore che
solo Dio per grazia, faceva queste cose. Ed
il vescovo tornò a Siracusa edificato
e raccontando di quanto gli era capitato presso l’uomo beato.
Corrado pur nella sua solitudine, riceveva
visite dovute alle voci che correvano
della sua vita virtuosa ed umile. Un giorno un suo amico venne ad
invitare Corrado perché andasse a casa sua a
mangiare dei pesci che aveva comprato
e l’eremita gli disse che sarebbe andato un’altra volta perché
i pesci glieli aveva mangiati la gatta
ed in effetti tornato a casa l’uomo fu accolto
dalla moglie che gli disse che il gatto si era mangiato i loro
pesci, e l’uomo credette alle parole
del beato e raccontò il fatto alla consorte.
Ma
Corrado aveva anche genti che lo biasimavano, così certi giovani
vollero fargli un tranello, invitandolo a
mangiare da loro di venerdì del pesce.
Questi però cucinarono anziché pesce arrosto, un giovane
porcello e quando fu ben cotto, ne
diedero quindi anche all’eremita.
Egli
si cibò tranquillamente al che i giovani lo derisero dicendogli
che essendo venerdì egli aveva
infranto il digiuno mangiando carne; ancora seduto
a mensa Corrado mostrò loro spine, squame e schiena e code dei
pesci che aveva mangiato, a tal vista questi,
pentiti, domandarono perdono al beato,
che li rimproverò e quindi tornò alla sua grotta nella montagna.
Corrado
fu anche consolatore, leggendo nello spirito, così che diede
grande consolazione ad un buon uomo,
suo amico, vetraio, insegnandogli a pregare
per trovar conforto e consolazione in Cristo e nella Vergine Maria.
Quando
Corrado stava ai Pizzoni, il demonio mise in cuore ad alcuni
giovani uomini di dare bastonate
all’eremita e deridendolo chiamandolo vecchio, iniziarono
a colpirlo molto forte, tanto che lo lasciarono a terra tramortito
mentre il povero frate pregava che Dio avesse
misericordia di loro.
I
giovani si allontanarono un poco e restarono a guardare cosa
facesse il beato uomo, che rialzatosi
tutto malandato, li richiamò a sé.
Questi
pensarono che fosse una sfida e tornarono baldanzosi pronti a
riempire ancora di legnate l’asceta. Quando
furono vicini Corrado mostrò loro
delle pagnotte calde e ne diede loro tante quanti erano: il
pane sembrava appena sfornato ed i giovani
malvagi ne mangiarono, dopo di che se
ne andarono pensando che comunque nessuno li avesse
visti
nel loro grande crimine.
Quando
a Noto si seppe che il beato era stato bastonato , caso volle che
furono subito scoperti i responsabili e
quindi messi in prigione.
Allorquando
fu fatto il processo venne chiamato anche Corrado, i malfattori
furono portati al suo cospetto e fu chiesto se riconoscesse i
suoi aguzzini. Corrado risponde “Non mi
paiono quelli”. E disse la verità il
beato Corrado “chè, quando mi batterono, erano armati ed irati,
ed ora erano attaccati e tremavano di
paura”. Corrado comunque non volle
accusarli ma la giustizia fece il suo corso ed
i giovani ebbero parecchi guai finchè poi finirono morti.
Passarono
tempi e Corrado decise di andare a Siracusa per confessarsi
dal vescovo. Quando fu là, tutti videro che
una moltitudine infinita di uccelli lo
seguiva e stava sopra i muri cinguettando molto dolcemente.
E
ancora, un giovane lo sorprese mentre era attorniato da tanti
uccelli che gli stavano in testa,
nelle mani e sulle spalle cinguettando allegramente, al
chè lo raccontò alle genti e molto persone presero a devozione
il beato frate Corrado.
Era
a tal punto ormai tanto amato dalle genti, che quando veniva a
Noto per ricevere la confessione e la
comunione dal prete della chiesa di S.
Pietro il Nuovo, era costretto ad andarci di notte perché la
gente non disturbasse la sua buona
azione.
Una
volta, avendo tagliato una grande pietra della roccia nella sua
cella, non riusciva a rigirarla per
cui andò a chiamare alcuni buoni giovani che lietamente
vennero a dargli aiuto. Quando furono alla nuda grotta rocciosa
e videro il macigno dissero che non sarebbero certo riusciti a
smuoverlo essendo veramente troppo grande e
pesante. Corrado benedisse con la mano
il masso facendo il segno della croce e tutti assieme
levarono ed alzarono come leggerissima la roccia e la portarono
fuori della grotta.
Rimasero
i giovani meravigliati del prodigio ma Corrado, entrato nella
cella, subito ne uscì con tanti pani caldi
quanti erano i buoni giovani.
Meravigliati
i giovani mangiarono e con grande devozione verso il santo uomo
se ne andarono al loro lavoro.
L’esempio
di povertà e umiltà di Corrado attirò alla grotta un giovane
che volle farsi suo servitore e frate;
istruito su tutti i lavori corporali e spirituali
il garzone divenne ricco in virtù. Ma il demonio fece entrare
nella mente del giovane il desiderio di una
donna e quindi deciso a prendersi
moglie volle abbandonare il vecchio eremita.
Corrado
lo mise in guardia prevedendogli alcune sciagure: predisse che
avrebbe trovato in uno stivale una serpe,
patendone grande paura, poi avrebbe
rischiato la morte in una lite e per ultimo, andando per strada
con una lancia in mano, sarebbe caduto
sulla stessa ferendosi gravemente. Il giovane
se ne andò vinto dal demonio, si spogliò dell’abito di frate e
prese
moglie,
e tutte le cose predette gli accaddero e la sua fine fu
miserevole.
Vi
fu un tempo in cui la carestia colpì duramente quella terra di
Noto e della Sicilia, così tanti
uomini e donne e bambini, soprattutto tanti bambini, andavano
da lui a chiedere pane ed egli riceveva pane celeste ed a ciascuno
di quei piccini dava una pagnotta calda e li
sfamava e tantissime genti vennero e
trovarono sempre pane caldo: egli a tutti faceva la carità di Gesù
Cristo con amore.
Fra
Michele Lombardo, che visse alcuni tempi con Corrado, e che
nescrisse anche la vita, racconta di come il santo uomo vivesse in
astinenza dai cibi e dalle bevande e
nella quaresima non mangiasse pane ma solo legumi
e non bevesse vino.
Fra
Corrado andava scalzo, con la tonaca aderente al suo magro fisico
e faceva vita ordinata alle cose di
Dio così come conveniva a colui che aspirava
all’unione mistica con Dio Padre.
Passarono
gli anni e Corrado si avvide che ormai era venuto il tempo in
cui avrebbe reso lo spirito a Dio. Confidò
questo ad un suo devoto che molto
amaramente pianse alla triste notizia. Corrado predisse che alla
sua morte il popolo di Avola e di Noto
si sarebbero contesi il suo corpo per la
sepoltura: solo lui, il suo amico devoto, avrebbe potuto prendere
il corpo per il rito funebre.
E
venuto il tempo e il giorno che il beato Corrado doveva
trapassare, egli andò nella sua cella
e si mise, come soleva stare, in orazione e incomincia a
fare orazioni a Dio umilmente in ginocchio e alzò il capo a Dio e
disse: “Onnipotente Dio, ti
raccomando l’anima mia e di ogni creatura; liberami,
Signore, dalle mani del demonio, chè io non vada a vedere i
nemici, i quali si tormentano nell’inferno;
o Signore, stendi la tua mano
e
dammi aiuto”. E sopra di lui fu grande luce: il beato uomo rese
lo
spirito
a Dio.
Come
Corrado fu trapassato le campane di Noto e di Avola incominciarono
a suonare fortemente a tal punto che non si riusciva a fermarle
e le genti accortisi del miracolo pensarono subito alla morte di
un uomo santo per tanto miracolo.
Gli
uomini di Noto andarono alle Celle credendo di trovare fra Michele
ormai defunto, invece egli era vivo e disse
che altri era colui che era trapassato
santamente.
Le
genti corsero allora ai Pizzi armate di bastoni e lance. Giunti
alla grotta trovarono il beato Corrado
trapassato, in ginocchio.
Ed
anche le genti di Avola vennero per prendere il corpo del frate
eremita. Intanto quelli di Noto avevano fatto
una cassa di legno ma quando stavano
per pigliare il beato corpo per metterlo nella cassa, questo
fremeva e tremava mormorando, e nessuno lo poteva toccare.
Allora
fra Michele, l’amico del beato, l’unico cui era concesso di
toccare il corpo, si avvicinò, prese
il corpo e lo mise nella cassa. Ma il corpo nella
cassa fu tanto lungo che non vi entrava. Allora fecero un’altra
cassa più lunga ma anche in questa
non entrava: il corpo si allungava miracolosamente.
I
Netini temevano che gli Avolesi venissero a prendersi con la forza
il corpo del beato ed infatti
arrivarono in grande turba, armati di balestre e lance
e dardi, pavesi, spade e coltelli. Allora quelli di Noto vedendo
arrivare in tal modo quelli di Avola, presero
il beato corpo di Corrado e lo portarono
fuori della grotta e si incamminarono lungo la ripa della valle.
Quelli
di Avola si misero al passo ad aspettare armati di tutto punto che
giungessero con il corpo i Netini per
levarglielo.
Accortesi
degli armati che li attendevano gli uomini di Noto misero il
corpo dell’eremita in mezzo a loro per
difenderlo e si prepararono a battaglia.
Iniziò
una dura battaglia con l’uso di dardi e frecce, le due turbe si
scontrarono per un pezzo ma fu un miracolo di
Dio che nessuno ebbe male e ognuno si
ritrovò con in mano la propria arma come se mai l’avesse
usata.
Quelli
di Noto si ritrovarono ancora il corpo in mezzo a loro come
l’avevano prima e se ne tornarono alla loro
città cantando e lodando Dio con
grande giubilo. E la cassa del beato Corrado pareva non pesasse
niente.
Quando furono alla spianata del Crocifisso, i cittadini volevano
che stesse in S. Maria; come vollero fare
via, il corpo fu così pesante che non
lo poterono muovere per nessuna ragione.
Allora
dissero: “Andiamo alla chiesa madre”. E quando fu detta questa
parola, il corpo fu così leggero come era
prima. E andarono nella chiesa
madre.
Quando furono entrati con il beato corpo di
Corrado, i miracoli furono tanti da
non poterli enumerare quanti fossero, egli ne fece senza conto
d’uomo umano, ché egli sanava storpi,
zoppi e orbi e muti e diverse infermità.
Il
corpo di San Corrado fu preso e ordinatamente deposto nel suo
luogo,che è benedetto per i secoli dei secoli.
Corrado
ha reso lo spirito a Dio il 19 febbraio 1351.
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