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  LA DEVOZIONE AL PATRONO
          
                     

                            tela di Corrado Malfa, artista netino

San Corrado mentre recita il Rosario

Il quadro, che è in onore da decenni presso la sede dei Fedeli e Portatori di San Corrado [1], raffigura il Santo Patrono di Noto mentre prega devotamente con la corona del Rosario in mano, lungo il viale dell’orto nei pressi della sua grotta dei Pizzoni. Il quadro, “dono di Giuseppina Battaglia Rizzo di Alessandro”, è stato dipinto dall’artista netino Corrado Malfa[2], e si trovava inizialmente presso l’eremo della Madonna della Provvidenza a Noto Antica e poi nella chiesa di Santa Caterina. Il quadro non è datato.

“San Corrado che recita il Rosario” è davvero una icona esemplare della spiritualità mariana e sintesi edificante del culto filiale del Santo Patrono verso la Madonna.

San Corrado insegna a pregare

Nella Vita di San Corrado leggiamo il seguente episodio. Un giorno, un operaio netino riceve in casa la gradita visita del Santo suo amico, gli bacia la mano e gli chiede:Compare, insegnatemi una buona preghiera’. E fra Corrado, sorridendo, gli risponde: ‘La migliore preghiera che tu possa fare è recitare il Padre Nostro e l’Ave Maria’. Il Rosario è la preghiera giusta per i momenti cruciali della vita; è una specie di sacramento del quotidiano, perché possiamo riconoscervi la nostra vita, fatta di piccoli grani sempre uguali, ma tenuti insieme dal filo dei misteri che danno loro significato e coerenza. I Misteri della vita di Cristo, nelle sue varie tappe, entra nel tessuto della nostra esistenza di ogni giorno e la riscatta dalla vanità, dalla banalità, ancorandola all’eterno. Se valutassimo la realtà con sguardo meno superficiale, ci accorgeremmo che la vita è tenuta insieme, non tanto dallo schotch delle nostre ambizioni e velleità, quanto da una modesta corona di azioni ripetute con uno spirito sempre nuovo.

Sin dall’infanzia Corrado si rivolge alla Madonna

Corrado dove attinse e come ha alimentato il suo amore e il culto verso la Madre di Dio? Innanzitutto in famiglia, la prestigiosa famiglia piacentina dei Confalonieri, di stretta osservanza cattolica. Tra i suoi antenati ricordiamo Lantelmo Confalonieri, vessillifero del vescovo di Piacenza, che partecipò alla 1^ crociata e la Beata Adelasia Confalonieri, badessa di San Siro.

Per Corrado, come per ogni bambino cristiano, la preghiera iniziava ad assumere concretezza già quando gli veniva presentata la Madonna come oggetto di venerazione. E lui si confidava con lei, le affidava tutto ciò che non riusciva a controllare, pregandola di intervenire. Già comprendeva che quanto gli veniva vietato sarebbe dispiaciuto alla Madonna. Dal momento che si sentiva protetto da Lei, imparava a sentirsi protetto anche dal suo divin Figlio Gesù e dal Padre Celeste. Corrado ha conservato per tutta la vita, nella preghiera, qualcosa di questa esperienza che resta sempre viva: la sua concretezza. Concretezza cristiana, attinta alla scuola di Maria, che lo fece decidere a scagionare l’innocente condannato per la sua giovanile imprudenza quando, durante una caccia, aveva appiccato il fuoco per stanare la selvaggina dal bosco.

Dalla conversione ascetica alla vita eremitica - Dall’inizio della sua conversione ascetica alla vita eremitica, Corrado si rivolge fiducioso alla Madonna per poter superare i non lievi ostacoli che si frappongono al suo disegno di donazione totale a Dio e ai fratelli, e implora la grazia di riuscire a lasciare tutto per il Tutto. Egli esce e va nella vicina Calendasco, dov’è il romitorio dei poviri et servituri di Deu e veste il saio di penitente. La devozione mariana di Corrado ha trovato poi favorevole e stabile alimento nell’ambiente socio-religioso di Noto “undi chi avìa multi boni homini et devoti persuni. Et li gitadini di la terra di Nothu àppiru grandi consolacioni di quistu homu, ki parìa homu di bona et honesta vita”. Su indicazione dell’amico Giovanni Mineo, per un certo periodo fra Corrado vive nelle ‘celle’ all’ombra del santuario cittadino di S. Maria del Crocifisso.

Poi il Santo si trasferisce alla grotta dei Pizzoni, dove vive in preghiera e penitenza, largo di aiuti e di consigli spirituali, d’intercessione, di profezie e di miracoli. Corrado intensifica così il dialogo interiore con la Madre celeste. Il 19 febbraio 1351 nell’estasi, Corrado, sciolto dai legami terreni, poté vedere nello splendore del Paradiso la celeste Madre che tanto aveva amato e fatto amare su questa terra.

I pellegrini e devoti che, da secoli, si recano al Santuario di S. Corrado di fuori, intravedono nella ampia nicchia della parete rocciosa della santa grotta le tracce deteriorate di un affresco del sec. XVI, raffigurante – a detta degli storici del pio luogo – la Vergine col Bambino fra i Santi Aquilino e Corrado

L’artistica Arca d’Argento (sec. XVI) di forma rettangolare, che racchiude il venerato Corpo di San Corrado ed è custodita nella cattedrale di Noto, reca in uno dei lati minori i bassorilievi della Madonna Annunziata e dell’Arcangelo Gabriele.

San Corrado e la Madonna resta un binomio inscindibile!

Sac. Salvatore Guastella

[1] L’Associazione “Società Fedeli e Portatori di San Corrado” in Noto è sorta per volontà del Vescovo Angelo Calabretta nel 1951 – 6° centenario della morte del Santo Patrono – ed ha sede in via Rinaldo Montoro, 4.

[2] Malfa Corrado nacque a Noto nel dicembre 1859 e morì a Messina il 28 settembre 1925. “La sua maggiore attività artistica fu svolta nelle decorazioni dei soffitti. Lavorò in Modica, dove decorò le case dell’avv. Basile, del prof. Scucces, dell’avv. Scribano e di Pietro Rizzone. Nei pressi di Scoglitti (Rg) lavorò cinque anni per la decorazione di Villa Salina del barone Pancari. Nel 1916 si trasferì a Catania e si dedicò alla pittura su seta e su legno. Lo stesso lavoro continuò a Messina, dove morì” (Passarello Gaetano, Personalità Netine di tutti i tempi, p. 125. Edigraf, Catania 1969).


 

                                           

LA DEVOZIONE DI CALENDASCO

Con il Registro titolato “Salario Laicale detto Legato di San Corrado” iniziato “la prima settimana di gennaio 1857”, conservato nell’Archivio della parrocchiale, continuazione di altri più antichi registri, prima di iniziare la segnature delle sante messe celebrate all’altare di San Corrado, si riporta per mano dello stesso parroco Arciprete Don Giovanni Brugnoni un breve riassunto storico che merita di essere presentato per intero e che così recita:


“Il Conte Gio.Battista Zanardi-Landi con atto di Gianfrancesco Notaio da Parma in data 9 agosto 1617 fondava il Legato di San Corrado incaricando il Parroco pro Tempore di Calendasco, di celebrare la messa in un giorno d’ogni settimana dell’anno, all’altare di S. Corrado, senz’obbligo di applicazione, ma solo d’una commemorazione per l’anima sua, nel Memento dei morti; e di far celebrare tre messe, pure senza applicazione, nel giorno 19 febbraio d’ogni anno, festivo di S. Corrado. In compenso il Parroco percepisce annue lire Trenta vecchie, più un paja capponi pel dì 11 novembre; queste 30 lire Imperiali corrispondono a Lire nuove Sette e C.mi Tredici. Restando gravati di questo onere gli eredi, e successori del predetto Sig. Conte Zanardi-Landi.
Al Conte Zanardi-Landi in progresso di tempo successe il Conte Giovanni Scotti, il quale a sua volta ebbe a successori il Sig. Marchese Vincenzo di Piombino per 3/5, e la Sig.ra Contessa Felicita Salvatico ed a questa successe il Sig. Francesco Grassi di Piacenza per 2/5. L’Arciprete Don Giuliano Guglieri nel dì 24 Novembre 1824 assicurava questo Legato con ipoteca sui fondi del Sig. Marchese Piombino a Calendasco per tre quinti della somma capitale cioè Lire 119,88; e per due quinti cioè Lire 79,92 sui fondi del Sig. Grassi.
In processo di tempo al Sig. Marchese Piombino e Grassi successero i Sig. Avv. Vincenzo Anguissola e Cav. Giuseppe Anguissola e quindi i rispettivi figli, i quali non riconoscono più detto Legato che da molti anni non è soddisfatto in quanto alla compensazione dovuta al Parroco il quale ne continua però sempre da parte sua l’adempimento.
Il Sig. Avvocato Nob. Lancellotto Anguissola fu Avv. Vincenzo dà ogni anno per S. Martino un paja capponi…” seguono alcune altre righe purtroppo consunte ed illeggibili.

IL BORDONI STORICO INSIGNE

Il francescano e storico Bordoni nel 1658 pubblicò il Chronologium Tertii Ordinis S. Francisci, manoscritto in più fogli che si conserva in Parma, e al dì 19 febbraio riporta la Vita di S. Corrado Piacentino: “ F. Corrado Piacentino della famiglia de Confalonieri naque di parenti nobili l’anno 1290, che l’instrussero ne costumi christiani, e li diedero per moglie una gentildonna Lodeggiana per nome Eufrosina filia di Nestore. Corrado per esser molto dedicato alla caccia, andò un giorno in campagna, e fece dan foco a certi boschi... Corrado tocco nel core dal Spirito Santo, rifatti i danni dati, collocata la moglie in monastero, abbandonò in tutto il lusinghero mondo, partendosi da Piacenza più povero di quel meschino che liberò dalla morte, se n’andò a Gorgolaro loco sul Piacentino remoto dalle genti, dove era un Romitorio, nel quale habitavano cinque frati del Terz’Ordine di S. Francesco, che ivi a Dio seminano, recitando i deccini officii, facendo astinenze, digiuni et altre opere pie... Riavuta donqi la benedittione del suo superiore (padre Aristide) l’anno 1316 si partì da Gorgolaro a piedi sempre senza danari, peregrino verso Roma...” e quindi giunto a Noto in Sicilia, alla fine viene indirizzato a “certe grotte in luogo detto li Pizzoni vicino ad un fiume, et lontano dalla città solo tre miglia... Non solo Leone X ma ancora Paolo III et finalmente Urbano VIII informati delli molti miracoli che fa questo Beato concessero quelli di poter celebrare la sua festa in Noto, in altre parti della Sicilia, et a Piacenza sua patria, e questo ancora, che se ne possi far l’officio da tutti gli ordini Francescani, e noi per esser del nostro ordine professo, ne facciamo l’officio doppio maggiore, con le nostre monache...”.

                                         


                                                          

I Netini di Roma celebrano il Santo Patrono
nella basilica dei Santi Cosma e Damiano
(23 febbraio 2008)
/ omelia i n e d i t a /


San Corrado Confalonieri pellegrino di pace

Nato in quel di Piacenza nel 1290 circa dall’illustre famiglia Confalonieri, il giovane cavaliere Corrado conquista la stima di tutti per il suo comportamento leale. L’equilibrio psico-spirituale da lui raggiunto con quotidiano sforzo di giovane onesto è culminato nel superamento eroico dell’imprevisto capitatogli durante una battuta di caccia. Essendo stato condannato a morte un malcapitato innocente, Corrado si interroga: “E morrà quest’uomo per il male fatto da me? L’autore involontario dell’incendio sono io”! Perciò si costituisce, lo scagiona, confessa la sua imprudenza e si obbliga a risarcire i danni. Davvero l’uomo è se stesso nella misura in cui è capace di compromettersi per chi soffre la fame, l’ingiustizia, lo sfruttamento o l’insicurezza. Corrado Confalonieri col suo gesto spontaneo in favore di quell’innocente malcapitato ha proclamato che Cristo è in coloro che ci stanno attorno e che hanno bisogno – nella famiglia o sul lavoro - del nostro amore e testimonianza che ci fa riconoscere discepoli di Cristo. Carattere adamantino, il giovane piacentino non si deprime ma accetta con coraggio la nuova realtà, anzi l’assume per un nuovo progetto di vita. Così il rinnovamento ecclesiale nell’Europa del secolo XIV lo coinvolse e lo ha visto protagonista nel carisma francescano.
La “Vita Beati Corradi” (codice cartaceo del sec. XIV) lo indica pellegrino di pace. Infatti, dopo l’esperienza traumatica dell’incendio involontario, a Corrado “venni in cori di andare a serviri Deu” e“pervinni undi havia poveri et servituri di Deu” (nn. 51 e 56). Lascia, infatti, Piacenza e va in un luogo che la tradizione indica nel ‘romitorio del Gorgolare’ per la sua vicinanza del rivo Calendasco o Macinatore, che alimentava tre mulini. Là compie il noviziato e trascorre un certo tempo, maturando il desiderio di solitudine e di preghiera.
Nel 1322 il giovane Corrado lascia definitivamente la terra piacentina per andare – come il biblico Abramo (cfr. Gen XII 1) – nella terra che il Signore gli mostrerà. Prima di partire, fra Aristide, superiore del romitorio di Calendasco prega per lui e così lo benedice: “Fratel Corrado, in nome del Signore ricevi questo bordone dal manico curvo, a sostegno durante il cammino di pellegrinaggio; ricevi questo tascapane e questa conchiglia, segni del tuo pellegrinare, affinché, trasformato e purificato, tu possa meritare di arrivare alla meta dove desideri andare” (dal ‘Liber Sancti Jacobi’). Inizia così il suo itinerario di ‘solitario’ con un pellegrinaggio a Roma, nello spirito della ricerca di Dio.
Eccolo nella via romea solo, sconosciuto, senz’altra previsione che una fiducia illimitata in Colui che veste i gigli del campo e nutre gli uccelli dell’aria (cfr. Mt VI 28), chiuso in un ruvido saio e appoggiato al suo bordone di pellegrino. Il sacco pesa, i sandali e i ciottoli della strada, la sete e la fame lo attanagliano, l’anima però a poco a poco spicca il volo, dato che non c’è vero pellegrinaggio senza un minimo di ascesi. Corrado fa onore semplicemente e gioiosamente al pasto frugale che un’anima caritatevole gli offre ad una tappa, riservandosi di far penitenza, per virtù o per necessità, alle tappe successive. Accolto dagli uni come rappresentante di Cristo, da altri sarà scacciato come intruso scroccone; ma egli riceverà con la stessa francescana letizia e umiltà le buone e le cattive venture del cammino. L’esperienza del pellegrinaggio anche per il nostro Santo è una meravigliosa scuola di semplicità e di abnegazione, di povertà e di altre virtù basilari di cui il mondo ha sempre bisogno.
Il fenomeno della mobilità umana gli esperti lo definiscono partendo dalle diverse manifestazioni e caratteristiche che esso assume nella vita. Chi lascia la propria patria per andare in cerca di un mezzo di sussistenza è detto ‘emigrante’; chi si mette in viaggio per riposare e rilassarsi è chiamato ‘turista’; chi non ha fissa dimora e vaga in cerca d’indipendenza e libertà è un ‘nomade’. ‘Pellegrino’ è detto colui che cammina verso l’Assoluto, perché affamato e assetato di Dio. E’ chiamato ‘turismo religioso’ il movimento del pellegrino che si mette in cammino con Dio lungo le strade del mondo (come i discepoli di Emmaus in ascolto della Parola di Dio lungo la via). Invece è detto ‘pellegrinaggio in senso stretto’ il movimento del pellegrino, il quale con il mondo va verso Dio, perché è come l’ascesi ‘verso il tempio santo di Dio’.
“Mentre il vero pellegrinaggio nasce da una decisione essenzialmente di ordine interiore-spirituale, orientato cioè al conseguimento di traguardi inerenti alla fede e alla pratica di fede, alla conversione personale e alla vita di grazia con gesti concreti di solidarietà e condivisione; invece il turismo religioso fa leva su prevalenti aspetti culturali, amicali e ludici con forti tonalità soggettive o di gruppo di appartenenza e con obiettivi che si incrociano e si annullano, per accontentare bisogni differenti” (Nicolò Costa, in Luoghi dell’infinito, VII-VIII 1989, p.6). Comunque, ambedue i movimenti – il pellegrinaggio in senso stretto e il turismo religioso – entrano di diritto nell’ambito dell’azione della Chiesa, perché ogni pellegrino si reca in un santuario, chiesa o luogo di culto “per un peculiare motivo di pietà” (Codice di Diritto Canonico, can.1230).
E il pellegrino Corrado rimane a Roma? No, ma nella Città eterna egli matura la sua vocazione eremitica. Infatti – come sottolinea il citato codice del sec. XIV – “per meglio servìri a Deu sindi vinni in Sichilia” e sceglie Noto (Siracusa), dove vive di carità, povero tra i poveri. A chiunque va a trovarlo alle celle della chiesa del Ss. Crocifisso e, poi, nella grotta dei Pizzoni per chiedergli intercessione di grazie, per esprimergli ammirata gratitudine o per mettere alla prova la sua santità, tutti accoglie con volto sorridente, evangelizza, è largo di aiuti e di consigli spirituali, di intercessioni e di miracoli.
Il nostro Santo Patrono si fa missionario itinerante tra il popolo netino, ogni qualvolta che dalla sua grotta dei Pizzoni scende in città.
Ø Lo ammiriamo paziente e paterno col figlio di Vassallo: “Questa metà di formaggio è di tua madre [la quale non avrebbe voluto farmelo avere intero] e questa metà è di Gesù Cristo”;
Ø affabile con l’amico operaio e padre di famiglia: “Siano benedette queste mani che alimentano tante creature”,
Ø umile e premuroso con il suo vescovo di Siracusa, che accoglie nella sua grotta col pane caldo del miracolo: “Signor vescovo, non sono quello che voi pensate, perché io sono peccatore”;
Ø resta grato con chi lo invita a mensa: “Dio rimeriti la vostra anima per la carità” ;
Ø catechista con un altro operaio che lo incontra, gli bacia la mano e gli chiede: “Compare, insegnatemi qualche preghiera”, e fra Corrado gli insegna la recita del Padre Nostro e dell’Ave Maria. Il saluto abituale verso quanti egli incontra per le vie di Noto è: “Fratello/Sorella, abbi tu pace”! Prossimo alla fine, quel 19 febbraio 1351 così prega: “Onnipotente Dio, ti raccomando l’anima mia e di ogni creatura… Signore, stendi la tua mano e dammi aiuto”. Fioriscono subito le grazie ottenute per la sua intercessione e la devozione popolare cresce, soprattutto dopo la ricognizione canonica del suo corpo trovato incorrotto nel 1485. Papa Leone X il 12 luglio 1515 delega il vescovo di Siracusa ad istruire il processo informativo e proclamarne ‘per delegatum’ il culto come Beato; mandato apostolico eseguito nella chiesa madre dell’antica Noto il 28 agosto 1515 dal suo vicario generale Mons. Giacomo Umana, netino e vescovo titolare di Scutari. Urbano VIII nella bolla del 12 settembre 1625 lo chiama “Santo” e ne stende il culto all’Ordine Francescano nel mondo. L’arca d’argento con il corpo di S. Corrado è in venerazione a Noto in Cattedrale.
Piacenza, Roma, Noto, …e l’Ordine Francescano hanno in San Corrado Confalonieri un faro luminoso di santità operosa. Egli - da vero uomo di pace e testimone di Cristo Risorto - tutti ci guida e sostiene.
Inseriti ormai nell’unità europea, il nostro Santo Eremita Piacentino ci sprona ad essere, anche come cristiani, operatori di pace nel nostro ambiente.
    
                                                                                                                                             Mons. Salvatore Guastella


 

              domenica 9 agosto 2009 Cattedrale di Noto

 

 
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